Non è un Paese per disabili. Ledha: “Un insegnante di sostegno ogni tre alunni”

by Sergio Segio | 28 Luglio 2011 9:07

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Gli alunni con disabilità  crescono. Solo quest’anno, per motivi diversi e ancora tutti da indagare, nelle scuole si contano 30.470 disabili, oltre duemila in più rispetto all’anno scorso. Per contro, gli insegnanti di sostegno sono sempre meno. Effetto dei tagli indiscriminati alle politiche sociali. Se anche nell’ultima manovra correttiva dei conti pubblici, all’articolo 19, il rapporto 1:2 tra insegnante e alunno con disabilità  è ricordato come punto di riferimento ottimale, il rischio è che questo rapporto si aggravi e diventi 1:3.

Secondo un dato reso pubblico oggi dalla Ledha, la Lega per i diritti delle persone con disabilità , in una lettera aperta al ministro Gelmini, solo nella regione Lombardia mancano all’appello 3600 insegnanti di sostegno, 42 in meno rispetto al 2010. Gli 11.622 insegnanti di sostegno assegnati dal ministero dell’Istruzione sono, secondo la Ledha, “del tutto insufficienti”.

Il dato preciso per ora a disposizione riguarda la sola Lombardia, ma il fenomeno, spiega a PeaceReporter il presidente della Ledha, Fulvio Santagostini, agisce su scala nazionale. Perché i tagli agli enti locali sottraggono alle regioni la capacità  di integrare con risorse proprie le spese per le politiche sociali, quali la scuola e la sanità .

Gli insegnanti di sostegno saranno sempre meno. Con quali conseguenze?

Gli insegnanti di sostegno sono strumenti fondamentali per l’inclusione degli alunni con disabilità . È chiaro che l’integrazione non si esaurisce nel sostegno, ma questo resta il canale che permette ai ragazzi con disabilità  di entrare nel sistema scolastico. Senza il sostegno, molte persone non potrebbero semplicemente andare a scuola, o sarebbero costrette a frequentare i centri specializzati che però non offrono una formazione completa.

Stiamo tornando alle scuole speciali per disabili, quelle che, con una legge divenuta modello di integrazione apprezzato in tutto il mondo, l’Italia abolì nel lontano 1977?

Anche se non dovrebbero esistere, quelle scuole non hanno mai del tutto chiuso i battenti. E le famiglie dei ragazzi con disabilità  sono tornate a rivolgervisi, perché per loro è sempre più difficile garantire ai propri figli percorsi inclusivi. C’è quindi il grosso rischio che si torni alle scuole speciali. Addirittura, l’anno scorso un gruppo di consiglieri provinciali e di accademici ne ha chiesto il ritorno al fine di non penalizzare gli alunni non disabili. La possibilità  di inclusione dei ragazzi con disabilità  verrebbe minata alla base.

Con il welfare, affonda anche la tutela dei diritti delle persone con disabilità ?

Nel 2009 il governo italiano ha firmato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità . Io credo che oggi ci sarebbero tutte le condizioni per denunciare l’Italia alla commissione di vigilanza delle Nazioni Unite perché siamo largamente al di sotto del limite del rispetto dei diritti fissato dalla convenzione. Stiamo continuamente facendo passi indietro, in tutti i campi, non solo nel diritto all’istruzione. Io dati parlano da soli. Dal 2008 al 2011 c’è stato un taglio di oltre l’87 per cento dei fondi dedicati al sociale, e per l’anno prossimo sarà  ancora peggio. Il fondo per la non autosufficienza è stato completamente, e dico completamente, azzerato.

Solo colpa dei tagli, o c’è anche una visione generale dietro a tutto questo?

Più in generale, stiamo assistendo a gravi passi indietro sul piano culturale. Siamo il Paese il cui il ministro dell’Economia ha detto più volte in televisione che i due milioni e 700mila italiani con disabilità  – troppi, a detta sua – ci impediscono di competere come Paese. Si sta affermando una cultura che vede l’invalidità  come un peso per la società . Si sta passando dal welfare dei diritti al welfare della carità , perchè ancora nel 2011 sentiamo dire che bisogna garantire i “bisognosi”. Ma chi sono i bisognosi? Lo Stato deve garantire il rispetto dei diritti, non dispensare carità . È questa la differenza culturale profonda contro cui dobbiamo batterci.

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