Obama: tempo scaduto, ora l’accordo

by Sergio Segio | 30 Luglio 2011 7:16

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NEW YORK — Meno tre. Il conto alla rovescia verso la scadenza (martedì prossimo) oltre la quale l’America rischia il «default» sul suo debito se non ne viene alzato il tetto, continua inesorabile senza che un accordo sia all’orizzonte. Dopo aver speso tutta la giornata di ieri a cercare di sanare la frattura nel fronte conservatore che giovedì non era riuscito a votare la sua versione del provvedimento antideficit, ieri il leader della maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner, finalmente ce l’ha fatta: a tarda sera il provvedimento è stato varato dall’aula con appena due voti di maggioranza. Ma l’atto ha solo un valore politico— non diventerà  legge— perché per ottenere il consenso decisivo dei deputati dei «Tea Party» , Boehner ha dovuto aggiungere al testo un emendamento durissimo che rende la normativa ancora più indigeribile per il Senato (che ha già  deciso di respingerlo) e per la Casa Bianca (che opporrebbe comunque il suo veto). E allora?
Coi mercati allarmati (la Borsa ancora in calo, i titoli del tesoro che soffrono) ma non nel panico (nessuno crede davvero che l’America si suiciderà  dichiarando «default» , pur avendo i mezzi per pagare i suoi creditori), ieri mattina il presidente Obama ha rotto un silenzio che durava ormai da tre giorni. Ha parlato di nuovo alla nazione invitando il Senato — dove le posizioni tra repubblicani e democratici sono più vicine — ad attivarsi varando un provvedimento «bipartisan» sul quale cercare di far convergere anche la Camera: «Non c’è più tempo, dobbiamo decidere entro martedì. Non è impossibile: le posizioni tra i due fronti non solo poi lontanissime. Le due proposte hanno molti aspetti simili, basta un po’di buona volontà . Altrimenti rischiamo di dover pagare interessi molto più alti. Non perché non abbiamo i mezzi per onorare i nostri debiti ma perché non abbiamo più un sistema politico da “tripla A”. Sarebbe un disastro, una tassa che grava su tutti. Costerà  a tutti più caro, dai mutui casa ai prestiti per l’auto» .
Poco dopo l’agenzia di «rating» Moody’s ha fatto sapere che probabilmente per ora confermerà  le tre A del credito Usa, limitandosi a passare a un «outlook» negativo sul Paese. Ma secondo l’ex ministro del Bilancio, Peter Orszag (ha palato in una «conference call» a porte chiuse), il «downgrading» ci sarà  comunque entro i prossimi 12-18 mesi e i mercati l’hanno già  scontato. Intanto al Tesoro continua alacremente il lavoro per disattivare l’attuale sistema automatico dei pagamenti ordinari effettuati dalle filiali periferiche della Fed, la Banca centrale, sostituendolo con uno alternativo, manuale e selettivo, da mettere in funzione in caso di mancato varo della legge sul tetto, per far fronte alla prevedibile emergenza.
Ieri al Senato il capo della maggioranza democratica Harry Reid, si è, dunque, messo al lavoro su una nuova ipotesi di compromesso, cercando di coinvolgere anche il leader dei repubblicani, Mitch McConnell, nella definizione della proposta: un aggiornamento di quella presentata nei giorni scorsi che prevede tagli di spesa di 2.700 miliardi di dollari in dieci anni e un aumento del tetto del debito che consentirebbe a Obama di risolvere il problema fino a fine 2012. Lo stesso Reid è, poi, finito nel mirino anche perché, nel sostenere l’urgenza estrema di una decisione, ha fatto riferimento a un allarme del ministro del Tesoro Geithner che gli avrebbe parlato delle difficoltà  delle banche Usa, che ormai otterrebbero solo prestiti «overnight» .
 Le banche hanno subito precisato di aver mantenuto intatta la loro capacità  di raccogliere fondi sul mercato e Geithner, in una nota, ha spiegato di aver chiesto a Reid di muoversi rapidamente verso una decisione sul tetto del debito per eliminare le incertezze che pesano sui mercati. La debolezza del governo Usa è testimoniata anche da un dato curioso: in questo momento c’è più liquidità  nelle casse di un’azienda come la Apple (76 miliardi di dollari) che in quelle del Tesoro (73,8).

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