Oslo in piazza per un paese più umano

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 COPENAGHEN. Il giorno dopo il massacro si contano ancora i morti, la cifra è stata ridotta a 76, ma incerta è la sorte dei feriti e dispersi. Su tutto prevale il senso dell’unità  dei tre paesi scandinavi e manifestazioni di dolore e di solidarietà  composte e silenziose delle quali i nordici sono maestri, come tutti ricordano dallo stile con il quale si svolsero i funerali di Olof Palme dopo un atto simile di violenza. Anche quello «senza senso», come si disse allora, ma capace di cambiare il corso della politica di questo paese. Una vittima necessaria per la guerra al comunismo, come oggi le 76 vittime lo sono per la guerra all’islam e al marxismo. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza nella tarda serata die ieri a Oslo, in una delle più grandi manifestazioni che la capitale norvegese ricordi. Tutti avevano portato con sé una rosa, come era stato chiesto dall’appello – circolato su Facebook – in segno di cordoglio per le vittime dell’attentato. Nelle conferenze stampa di ieri della polizia norvegese, la minuziosa ricostruzione dei fatti non è riuscita a nascondere l’impotenza di fronte a eventi non previsti. Sono state fatte infruttuose irruzioni e perquisizioni, alla ricerca di eventuali complici (sull’esistenza dei quali ci sono pochi dubbi). Appare evidente la sconnessione esistente tra le indagini della polizia e l’assenza d’informazione-collaborazione dei servizi di sicurezza, norvegesi e non solo. La confusione della polizia e degli esperti ha una base razionale. Da anni entrambi si occupano delle organizzazioni islamiche e dei loro luoghi d’incontro religioso e l’equazione islamismo-terrorismo è comunemente accettata. Per questo nel giorno dell’attentato gli osservatori, la sinistra, e la polizia hanno dedicato la propria attenzione a questi ambienti, opportunamente orientati in questa direzione dai servizi di sicurezza. Oggi è stato anche il giorno dell’apertura del processo a carico dell’attentatore. Un processo a porte chiuse, del quale poco è trapelato se non che l’imputato ha ribadito e difeso la legittimità  del proprio operato e ha comunicato l’esistenza di due cellule a lui collegate. Il manuale pubblicato da Anders Behring Breivik poche ore prima di agire, contiene un’analisi dettagliata degli obiettivi politici e dell’ispirazione teorica di questi movimenti. 2083. «A European declaration of independence» (Una dichiarazione europea d’indipendenza), un testo di 1500 pagine, al quale lavorava da nove anni, che illustra il mutamento teorico della destra europea che ha abbandonato la propria matrice nazista e antisionista e ha sposato invece un orientamento antimarxista, antiislamico e pro-sionista. I riferimenti teorici e politici si nutrono dell’ideologia dell’11 settembre, e quindi della guerra condotta da Bush e da personaggi come Anders Fogh Rasmussen in Danimarca, che dopo aver portato il proprio paese nelle guerre dell’Occidente svolge oggi questo ruolo per conto della Nato, di cui segretario generale. Posizioni queste non isolate ma che da tempo sono diffuse sul sito dell’attentatore document.no, e su siti danesi come uriasposten.dk e snapshanen. dk. Gli ambienti da cui dipartono queste tesi e questi personaggi sono quelli di una borghesia liberale che utilizza come un coltello i diritti di libertà  di espressione e di organizzazione, come dimostra il caso delle «vignette su Maometto». Una borghesia liberale che come sempre possiede la verità  e quindi si sente autorizzata a irridere posizioni diverse. Quello che sorprende è la base popolare che in tutti i paesi appoggia queste tesi – la guerra in Afghanistan, l’aggressione alla Libia, ecc. – tutte in nome della democrazia e dei principi liberali anche quando apertamente violano ogni principio di convivenza e diritto internazionale come nel caso della Libia. Un terreno sul quale è facile sdrucciolare verso il militarismo e il terrorismo di stato come dimostra l’esperienza italiana. Una base popolare legittimata dalle politiche europee di dipendenza dagli Stati Uniti e dalle politiche liberali (neoliberismo) che hanno massacrato in pochi anni quello che restava dello Stato del Benessere. Delle politiche del lavoro scandinave, il modello danese eretto a eccellenza in Europa, ha visto in questi mesi ridotto il diritto al contributo di disoccupazione a due anni, dai quattro precedenti e dal diritto senza limiti di alcuni anni fa. La sanità  danese, una volta tra le migliori del mondo, ha oggi tempi di attesa in un normale pronto soccorso di Copenaghen in media di 12-18 ore per pazienti con problemi acuti. La caduta dei redditi, da lavoro e sociali, è stata drammatica in pochi anni. Queste sono le radici dello spostamento a destra dei voti popolari in Danimarca e negli altri paesi, dell’odio antieuropeista e contro la democrazia di un sistema sempre più manipolatorio. Nell’assenza di altre risposte, anche qui la sinistra è inesistente e il sindacato di classe estinto, l’odio si canalizza verso gli immigrati che oggi sono islamici in particolare. Agli occhi della destra norvegese il governo del lavoro di questo paese è l’ultimo tra i paesi del nord, che resiste a processi d’integrazione attiva nella crociata dell’Occidente contro i marxisti e contro l’Islam.

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76. LE AUTORITà€ norvegesi ieri hanno rettificato il conteggio dei morti della strage di venerdì scorso, portandolo da 93 a 76. Di questi, 68 sono stati uccisi nell’isola di Utoya e otto nell’esplosione causata dalla bomba piazzata dall’attentatore nel centro di Oslo.

6. LE SETTIMANE di carcere, in isolamento, a cui ieri il giudice ha condannato – in attesa degli sviluppi delle indagini e riservandosi di emettere ulteriori provvedimenti Anders Behring Breivik, l’unico (finora) responsabile dei massacri di Oslo e Utoya.


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