Più vicino l’accordo sull’indebitamento Usa

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New York – Subito i tagli alla spesa, incluse pensioni e sanità . In cambio, la promessa di una futura riforma fiscale che ridurrà  l’elusione dei ceti medio-alti e delle imprese. Risultato: 3.000 miliardi di dollari di tagli ai deficit pubblici americani spalmati su un decennio; e via libera per approvare la legge che rialza il tetto del debito pubblico (oggi a 14.300 miliardi), indispensabile perché il Tesoro Usa non sia costretto alla cessazione dei pagamenti il 2 agosto. Il calendario segna “meno undici giorni” dall’Armageddon, nell’infernale conto alla rovescia che separa la più grande economia del mondo dal default tecnico, l’orologio segna le ore 13 a Washington e a New York: è in quell’istante che sul sito del New York Times arriva l’anticipazione del grande accordo bipartisan tra Barack Obama e il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner. Pochi minuti dopo la Casa Bianca e Boehner smentiscono: è prematuro l’annuncio. Ma diversi leader democratici confermano di essere stati «preallertati» dagli uomini del presidente. Si capisce la cautela, riflette le enormi resistenze che Obama sa di dover superare per vendere l’accordo ai suoi. Nella descrizione succinta del compromesso, infatti, il saldo netto del dare e avere sembra segnare una vittoria dei repubblicani. La sinistra democratica si sente tradita e stavolta appare davvero pronta a voltare le spalle al suo presidente, bocciando l’accordo.
Nell’immediato, infatti, la maxi-manovra di austerità  sembra propendere per i tagli alle spese sociali, che colpiranno gli strati più deboli della popolazione. Salassi in vista per Social Security (pensioni di Stato) e Medicare (assistenza sanitaria agli anziani). Mentre la profonda riforma fiscale, che dovrà  toccare i privilegi dei più ricchi è rinviata al 2012 e quindi aleatoria. Non è un caso se la fuga di notizie della Casa Bianca è stata pilotata verso gli ambienti democratici: per sondare la forza delle loro resistenze. Ma Obama non ha dubbi su chi sarà  nel lungo termine il vero vincitore se l’accordo verrà  confermato. Sarà  lui: l’opinione pubblica apprezza il suo ruolo di mediatore, gli darà  atto di avere evitato il disastro di una bancarotta di Stato. Per questo Obama spera di superare i proclami minacciosi di Harry Reid, leader dei democratici al Senato (dove sono maggioranza), che emette dure critiche all’ipotesi di accordo. Una posta in palio è la Casa Bianca, nel 2012, Obama è convinto che un accordo per quanto difettoso lo aiuterà  nella rielezione; punta sul fatto che la sinistra democratica non lo saboterà , per non spianare la strada a un presidente repubblicano che imporrebbe al Welfare una terapia mortale.


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