Quegli strani affari all’estero dietro il buco

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Dentro ci sono più debiti che soldi. Ma anche molti segreti. Quel giorno e quel consiglio di amministrazione hanno cambiato la vita dell’ex ciclista che è stato braccio destro, amico e «voce» di don Luigi Verzé. Forse è lì che la luce ha cominciato a spegnersi. Il colpo di pistola è l’ultima scintilla prima del buio. Alle 10 di mattina del 23 marzo 2011, nell’Aula consiliare dell’Istituto scientifico San Raffaele al settimo piano di via Olgettina 60 a Milano, Mario Cal doveva relazionare il consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor sul piano di ristrutturazione dei debiti.
La Fondazione governa il gruppo. È il momento in cui la crisi dell’ospedale diventa pubblica. È il giorno in cui Mario Cal, 72 anni, esce dall’ombra di don Verzé, 91 anni, amico da 35 anni. Cal è vicepresidente con ampi poteri, il bilancio è in rosso profondo. All’inizio i messaggi sono rassicuranti: «Mancanza di liquidità  passeggera» . La realtà  è ben più drammatica. Non è ristrutturazione ma salvataggio. Quasi un miliardo di debiti su 660 milioni di ricavi. I fornitori premono, i decreti ingiuntivi si susseguono.
Cal è l’interfaccia con banche e fornitori. Aveva elaborato un piano di rientro a inizio 2011: bocciato dalle banche. Gli argini erano già  rotti. Di colpo il San Raffaele si trova nella tempesta. Sembra che i debiti siano emersi improvvisamente. Ma non è così. Don Verzé con le sue relazioni ad altissimo livello (Silvio Berlusconi su tutti) e con quella grande abilità  nel mescolare scienza e sanità , no profit e business, biotecnologie e jet personali, ha tenuto a distanza banche creditrici e fornitori. Cal intanto dava una veste contabile minimamente dignitosa agli slanci spesso visionari dell’onnipotente prete-manager. Come la cupola di 60 metri d’altezza sovrastata da una statua di 8 metri dell’angelo San Raffaele. Megalomania allo stato puro che però richiede liquidità . Ed evidentemente c’era. O si trovava.
Curare le persone che cos’ha da spartire con gli hotel in Sardegna? O le piantagioni di manghi e meloni in Brasile? E quanti milioni sono stati buttati nella società  neozelandese proprietaria del jet su cui viaggiava don Verzé? Era Cal a gestire i «capricci» . Quando il coperchio è stato appena un po’ sollevato, la «spazzatura» estera è piovuta sui bilanci. Adesso ci sono gli uomini della Santa Sede. Strana operazione: si sono insediati prima ancora di aver tirato fuori un euro, senza aver fatto una valutazione accurata del gruppo e per questo assumendosi rischi elevati. Perché? Per convenienza dell’affare? Per bloccare il concorrente Giuseppe Rotelli? Per salvare l’Opera? Per evitare lo scandalo di un fallimento e l’irruzione dei pm? Entro fine mese, secondo alcune valutazioni, finiranno i soldi. Il concordato preventivo sembra l’unica strada. Ma che fine farà  la «consorteria» dei Sigilli? Sono i fedelissimi di don Verzé riuniti nell’Associazione Monte Tabor, la super holding semisegreta dove si contano i «soci dedicati» (quelli con più poteri) e i «soci ordinari» .
Qui, nell’ombra, per anni hanno governato uno dei più grandi e protetti imperi della sanità . La cassaforte adesso ha perso il suo custode. E forse non è un caso che ieri mattina, subito dopo il suicidio, nell’ufficio di Cal si siano presentati, a caccia di carte contabili, Luigi Orsi e Laura Pedio, i due pm che si occupano dell’inchiesta conoscitiva sulla situazione debitoria del gruppo. Tra quelle carte dovrebbe esserci un documento datato 29 giugno 2011: c’è scritto che don Verzé e Mario Cal avranno per tre anni tutti i poteri sulle attività  estere e su altre società . Un colpo di coda. Poi il colpo di pistola.


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