Quella miopia politica delle misure di austerità 

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Inoltre si sono mostrate incapaci sia di capire le cause reali della crisi, sia di predisporre interventi efficaci per rimediarvi. Come si spiega allora l’atteggiamento di supina deferenza che verso di loro mostrano i governi? Dopodiché occorre chiedersi quale sbocco politico le misure di austerità  potrebbero avere nel medio periodo. Sia la storia del Novecento che molti segni recenti attestano che lo sbocco più probabile potrebbero essere regimi autoritari di destra.
Il Fmi per primo non ha saputo cogliere, fino all’estate 2008, elementi chiave sottesi alla crisi. Non ha dato peso al degrado dei bilanci del settore finanziario, ai rischi di un effetto leva troppo alto, alla bolla del mercato immobiliare, alla rapida espansione del sistema bancario ombra. Ha sottovalutato i rischi di contagio insiti nel sistema finanziario internazionale. Questa serie di giudizi negativi sulle capacità  previsionali e terapeutiche del Fmi è stata formulata da un ufficio di valutazione interno al Fondo stesso, in un rapporto del febbraio 2011, non da avversari prevenuti. Sarebbero queste le credenziali con cui il Fmi vuole adesso imporre ai nostri paesi tagli ai bilanci pubblici e privatizzazioni a raffica che da un lato privano i cittadini di diritti fondamentali, dall’altro finiranno per peggiorare la stato dell’economia anziché migliorarlo?
Quanto alla Bce, si sa che i trattati di Maastricht le impongono un unico scopo: deve contenere l’inflazione sotto il 2 per cento. Sui computer lampeggiano indicatori drammatici: disoccupazione in rialzo, proliferazione dei lavori precari, crescita delle disuguaglianze, smantellamento dell’apparato pubblico, salari stagnanti, pensioni indecenti. Mentre il sistema finanziario che ha causato la crisi è apparso finora inattaccabile da ogni seria riforma. Tutto ciò cade al di fuori degli orizzonti della Bce. L’essenziale è la stabilità  dei prezzi. L’idea che un punto di inflazione in più avrebbe di sicuro i suoi costi, ma potrebbe forse rendere meno stolidamente aggressive le misure di austerità  a carico dei cittadini Ue, per la Bce appare irricevibile. Né gli orizzonti della Ce appaiono più ampi, come provano i documenti provenienti ogni mese da Bruxelles.
L’influenza che hanno sulle misure di austerità  le agenzie di valutazione, alle quali i governi Ue sembrano guardare come a un giudizio di Dio, è ben rappresentato da una dichiarazione del primo ministro francese Franà§ois Fillon. In vista delle presidenziali 2012, ha detto che per prima cosa «bisogna difendere la tripla A della Francia». A ben vedere la battuta suona grottesca. Ma altri governi Ue paiono condividere lo stesso intento, anche se quello tedesco a inizio luglio ha espresso critiche sul declassamento del debito portoghese. Al riguardo i media in genere fungono da diligenti amplificatori. Se una delle maggiori agenzie ci declassa il rating, ripetono ogni giorno, siamo rovinati. Nessuno comprerà  più i titoli di stato, oppure gli interessi sui medesimi saliranno talmente da diventare insostenibili per il bilancio pubblico. Quindi i mega-tagli alla spesa sono privi di alternative. In realtà  non è affatto vero, ma per chi è vittima della “cattura cognitiva” per mano delle dottrine economiche neo-liberali esse sono invisibili.
Un paio di cose dovrebbero considerare i governi Ue e i media, prima di genuflettersi dinanzi ai giudizi delle agenzie di valutazione. Anzitutto, come proprio esse si affannano a spiegare ogni volta che qualcuno vuol fargli causa perché grazie alle loro valutazioni ha perso molti soldi, i loro cocktail di lettere e segni sono semplici opinioni. Perciò possono essere giuste o sbagliate – lo dicono loro – e in forza del Primo Emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà  di parola, nessuno può prendersela se un’agenzia esprime un’opinione rivelatasi sbagliata. In secondo luogo, le agenzie di valutazione sono state – cito da una poderosa indagine sulla crisi presentata al Congresso Usa a gennaio 2011 – «ingranaggi essenziali nella ruota della distruzione finanziaria… I titoli connessi a un’ipoteca che furono al cuore della crisi non avrebbero potuto venire commercializzati e venduti senza il sigillo della loro approvazione». Sigillo consistente nella tripla A, il voto più alto che si possa dare alla solvibilità  di un debitore. Prima della crisi tale voto veniva distribuito dalle agenzie a velocità  supersonica. In sette anni, si legge nello stesso rapporto, la sola Moody’s lo attribuì a quasi 45.000 titoli ipotecari, in seguito malamente svalutati. Con i suddetti limiti autoconclamati, e un simile precedente storico, il tremore dei governi Ue dinanzi a dette agenzie appare o ingenuo, o politicamente sospetto.
Giorni fa il capo dell’eurogruppo Jean-Claude Juncker ha tranquillamente affermato che a causa delle misure di austerità  «la sovranità  dei greci verrà  massicciamente limitata». Poiché l’austerità  ha ovunque la stessa faccia, ne segue che dopo verrà  limitata anche la sovranità  dei portoghesi, degli spagnoli, degli italiani. Chissà  se Juncker ha un’idea di dove possa condurre tale strada. Nel 1920 il giovane Keynes un’idea ce l’aveva. In merito alle riparazioni follemente punitive imposte alla Germania con il trattato di Versailles del 1919, scriveva in Le conseguenze economiche della pace: “La politica di ridurre la Germania alla servitù per una generazione, di degradare la vita di milioni di esseri umani, e di privare della felicità  un’intera nazione dovrebbe essere considerata ripugnante e detestabile… anche se non fosse il seme dello sfacelo dell’intera vita civile dell’Europa” (enfasi di chi scrive). Keynes era rimasto colpito durante le trattative, cui aveva partecipato, dall’ottusa incapacità  dei governanti delle potenze vincitrici di ragionare sulle conseguenze di misure che strappavano la sovranità  economica a intere nazioni. I governanti di oggi non sembrano mostrare una maggiore lungimiranza di quelli di ieri, permettendo alle destre di guadagnare un crescente favore popolare al grido di “l’austerità  uccide l’economia” (lanciato tra gli altri da Antonis Samara, leader della destra greca). Un grido destinato a far presa, perché coglie il nocciolo della questione, sebbene provenga paradossalmente dalla parte politica che reca le maggiori responsabilità  della crisi.


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