Reti europee chiedono agli stati l’embargo militare verso Israele

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L’appello sottoscritto da varie associazioni della rete ENAAT, intende sostenere la richiesta di embargo internazionale di sistemi di armamento nei confronti dello stato di Israele promossa da un ampio movimento della società  civile palestinese e israeliana coalizzata attorno all’iniziativa “Boycott, Divestment and Sanctions” (BDS). La richiesta di embargo militare internazionale nei confronti di Israele ha trovato l’adesione di diverse associazioni e campagne dagli Stati Uniti al Congress of South African Trade Unions (Cosatu) del Sudafrica: tra le prime personalità  che vi hanno aderito vi è il vescovo anglicano e Nobel per la Pace, Desmond Tutu che ha dichiarato: “Sottoscrivo questo appello per un embargo sulle armi perché desideriamo la pace e la giustizia per i palestinesi e israeliani attraverso modi nonviolenti”. Anche la pacifista nordirlandese e Nobel per la Pace Mairead Maguire e l’attivista filippino Walden Bello hanno sottoscritto l’appello.

La richiesta di un embargo delle forniture militari giunge nel mezzo a una crescente pressione nei confronti di Israele promossa dalla Freedom Flotilla 2 e dall’iniziativa “Fly-in” che domenica scorsa ha visto la deportazione di 36 attivisti della causa palestinese i quali, nel fine settimana, avevano promosso una protesta all’aeroporto di Tel Aviv.

L’appello delle organizzazioni appartenenti al network europeo ENAAT è sostenuto dalla Campaign Against Arms Trade (UK), da Campagne tegen Wapenhandele (Paesi Bassi), dal Centre d’Estudis per a la Pau JM Delà s (Justà­cia i Pau) (Spagna), dal Gruppe fà¼r eine Schweiz ohne Armee (GSoA) (Svizzera), dal portavoce della Kampagne gegen Rà¼stungsexport e dal Bundesausschuss Friedensratschlag (Germania), dal Norwegian Peace Association (Norrvegia), dal Peace Union of Finland (Finlandia) e dall’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia(Italia).

Sulla decisione di sottoscrivere l’appello, Carlo Tombola, coordinatore scientifico di OPAL di Brescia, sottolinea che “si tratta di una decisione importante per molti motivi. Sul piano del metodo, perché si tratta di una forma nonviolenta per combattere l’occupazione illegale israeliana, secondo prassi di lotta che si stanno sempre più diffondendo tra i militanti pacifisti sia in Palestina che in Israele. Sul piano del contenuto perché l’Italia sta diventando un partner ‘forte’ di Israele nel commercio delle armi: sono 3,4 milioni di euro i sistemi militari italiani venduti negli ultimi tre anni, a cui vanno aggiunti oltre 11,2 milioni di euro di armi leggere non militari (difesa personale, sport, caccia), prodotte ed esportate per l’82% (cioè, 9,2 milioni di euro) dal distretto armiero di Brescia e Val Trompia” (i dettagli nel documento in .pdf)

Una “sospensione immediata e totale della vendita di armi italiane ad Israele” era già  stata chiesta dalla Rete Italiana Disarmo (che raccoglie oltre 30 organismi italiani impegnati sul tema del controllo degli armamenti) nel giugno dello scorso anno, dopo l’assalto alle navi pacifiste dirette a Gaza. Nel corso degli ultimi tre anni le vendite autorizzate di armamento verso il governo di Tel Aviv hanno riguardato in particolare armi di calibro superiore ai 12,7mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le imprese coinvolte in queste operazioni di vendita troviamo Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa.

“Il commercio di armi italiane nel mondo spiega Francesco Vignarca di Altreconomia e coordinatore della Rete Disarmo sta assumendo dimensioni sempre maggiori non per nulla negli ultimi due anni ha superato i 7,8 miliardi di euro per autorizzazioni all’esportazione: autorizzazioni che, nel 2010, sono state dirette principalmente (oltre il 49%) in una delle zone di maggiore tensione del pianeta, il Nord Africa e il Medio Oriente. Per questo l’embargo di armamenti può davvero diventare uno strumento per intervenire nelle situazioni di crisi e modificarle al meglio. Continuare ad inviare armi e sistemi d’arma nelle aree più calde del globo non è sicuramente il metodo migliore per contribuire alla pace, condizione che invece il nostro paese dovrebbe perseguire per convinzione e per scelta Costituzionale”.

“Non va dimenticato – ha aggiunto Giorgio Beretta, caporedattore di Unimondo e collaboratore di OPAL – che l’Italia importa armi da Israele e molte: negli anni 2008-9 superano il valore complessivo di 58,7 milioni di euro, la qual cosa ne fa il quarto fornitore del nostro ministero della Difesa”. “La Simmel, ad esempio, importa componenti per bombe e la Beretta componenti per armi automatiche, come particolari modelli di pistole e di mitragliatori”.

C’è infine un altro punto importante. “Si tratta dell’Accordo bilaterale di cooperazione militare con Israele che il Parlamento ha ratificato nel maggio 2005, durante la precedente legislatura guidata dal Governo Berlusconi” – nota Beretta. “Come gli altri, anche quello con lo Stato di Israele definisce in termini generici la cornice della cooperazione militare nei seguenti aspetti: misure per favorire gli scambi nella produzione di armi, trasferimento di tecnologie per la produzione di armamenti, formazione ed addestramento, manovre militari congiunte e peacekeeping. Il risultato finale è ovviamente quello di facilitare la collaborazione dell’industria per la difesa italiana con quella israeliana rendendo però più difficile il controllo degli armamenti e favorendone la proliferazione. Per questo è urgente che, oltre alle effettive esportazioni di armamenti, venga sospeso anche questo accordo e ogni tipo di cooperazione militare”.

In occasione del lancio dell’appello per chiedere l’embargo delle forniture militari a Israele, la Campagne Tegen Wapenhandel, Vredesactie e il Quaker Council for European Affairs hanno lanciato il sito disarmtheconflict nel quale riportano dati e analisi sul commercio delle armi e sulle relazioni militari tra Europa e Israele. Il sito fornisce anche informazioni sulla natura e la portata di tali rapporti e sulle normative riguardo commercio delle armi. “L’Europa è un importante partner economico di Israele e, invece di rafforzare le sue relazioni militari, potrebbe utilizzare la propria posizione per promuovere una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese: non vi è infatti alcuna soluzione militare a questo conflitto” – commentano le associazioni.

Va ricordato che la Posizione Comune adottata dall’Unione Europea nel dicembre del 2008 che definisce “Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari” (in .pdf) chiede espressamente agli Stati membri di “rifiutare licenze di esportazione qualora esista un rischio evidente che il destinatario previsto utilizzi la tecnologia o le attrezzature militari da esportare a fini di aggressione contro un altro paese o per far valere con la forza una rivendicazione territoriale” (Criterio 4). Una norma chiaramente elusa da diversi paesi dell’Unione europea che continuano ad esportare armamenti verso Israele. [GB]


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