Scandinavia. Tutti i lati oscuri di quella terra felice

by Sergio Segio | 28 Luglio 2011 5:52

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Scandinavia: si è tanto parlato di paradiso, per piangerlo perduto, che qualcuno ha protestato. Troppo facile, perché ogni paradiso ha i suoi gironi d’inferno. Nel posto delle fragole e dei mirtilli, in Svezia, vanno ora i raccoglitori asiatici malpagati. Ma è difficile negare che la vita civile di quei paesi sia stata la meno lontana dal sogno di un paradiso; terrestre e socialdemocratico. Voi credete probabilmente che la Svezia sia socialdemocratica, ma già  da due legislature è retta da un centrodestra. Così la Danimarca. In Norvegia, retta dal Partito dei lavoratori da due legislature, l’alternanza al governo di laburisti e conservatori è stata frequente, mentre in Svezia l’egemonia socialdemocratica era durata settant’anni con poche interruzioni. La tenuta laburista in Norvegia viene ascritta al petrolio, ma forse c’entra anche la storia. Un egualitarismo più fiero in una società  di contadini e pescatori senza soggezioni all’aristocrazia, e l’eredità  della Seconda Guerra. Occupata dai nazisti, la Norvegia conobbe l’esilio inglese del re e del governo, e una ammirevole resistenza. Per un amaro paradosso, le è successo di dare al linguaggio politico comune il nome proprio del suo dirigente che si piegò al giogo nazista, Quisling. I solenni signori norvegesi che hanno assegnato il Nobel per la pace al detenuto cinese Liu Xiaobo, non ignoravano che la Cina avrebbe additato il loro paesuccio di cinque milioni come un nemico.
Sta di fatto che la socialdemocrazia scandinava, guardata dall’Europa latina come una mescolanza esotica di climi spopolati e bionde libertà , è stata la vera Terza via della sinistra politica e sociale, di cui il laburismo di Blair ha tentato un’effimera emulazione. Oggi i paesi scandinavi conoscono l’ascesa di formazioni di estrema destra, nazionaliste populiste e a volte apertamente razziste – così i “democratici” svedesi, diventati l’anno scorso il terzo partito, e il norvegese “Partito del progresso”, in cui militò Breivik (la sua leader, Siv Jensen, non ha potuto fare a meno ora di dire: “Siamo tutti laburisti”). La crisi economica e la crescita impetuosa dell’immigrazione (in Svezia il 14 per cento, la più alta proporzione europea) espongono i governi, direttamente o indirettamente, alla pressione dei partiti xenofobi: fino alla sospensione di Schengen decisa dalla Danimarca. In realtà , la crisi del “modello scandinavo” era maturata con la caduta del Muro di Berlino e il trionfo dell’individualismo neoliberista. Quel modello aveva al centro la solidarietà  sociale – e dunque un prelievo fiscale molto alto – in cambio di servizi efficaci, in particolare ai bambini e alla famiglia. Diciamo subito di un giorno, il più dannato degli inferni socialdemocratici: la fede fanatica, protratta fino alla soglia degli anni ‘90, nell’eugenetica, che spinse soprattutto la Svezia, ma anche Norvegia e Danimarca e Finlandia (e tanti altri paesi, Usa e Canada compresi), alla sterilizzazione forzata di decine di migliaia di persone, donne per lo più, definite come minorate e di peso al progresso collettivo. Questo orrore si distingueva dall’eugenetica nazista perché respingeva un’ereditarietà  della razza attribuendola invece agli individui: ma con un risultato non meno ributtante. Frutto di una superstizione scientista e di un fanatismo statalista, l’altra faccia dello Stato che accompagna i suoi cittadini “dalla culla alla tomba”. E argomento ancora attualissimo al trapasso fra l’ingegneria sociale otto-novecentesca e l’ingegneria genetica nostra. Altri inferni stanno in quella storia, dai collaborazionismi nazisti alle vendette del dopoguerra, come il bando silenzioso che colpì le donne norvegesi e i figli dei tedeschi occupanti, e durò per decenni.
L’altra faccia, ho detto, ma non era necessaria. Ci fu chi le si oppose in tempo. Non erano inevitabili per le conquiste più preziose della socialdemocrazia: l’istruzione e la conoscenza, la sanità , una sobrietà  morale e di costume prima ancora che politica contro la disuguaglianza sfrenata, il riconoscimento del valore e dei diritti del lavoro, l’impegno per il mondo povero e la mediazione internazionale, da Hammarskjoeld al Trattato di Oslo. E la parità  fra i sessi, nelle leggi e in formidabili cambiamenti di costume, come la condivisione dei congedi di maternità  e paternità , compresi i governanti uomini: che è anche un esempio alle abitudini patriarcali di nuove minoranze – i pakistani sono i più numerosi. Nella graduatoria mondiale sul ruolo delle donne i primi quattro posti vanno a Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia (l’Italia è al 74esimo).
E in particolare un patto di fiducia fra i cittadini e le istituzioni così saldo da durare, sia pure con crepe evidenti, al di là  di una maggioranza politica, e spiegare la sconcertante “impreparazione” dello Stato norvegese al gesto di un malfattore, che non si era capaci di immaginare – e non si voleva. Era successo perfino quando, nel 1940, i nazisti invasero la neutrale Norvegia, che si dimostrò del tutto “impreparata”: e il paragone, ovviamente improprio, valga a dare credito alle parole del primo ministro Stoltenberg: “La nostra democrazia sarà  ancora più aperta – solo, meno ingenua”.
A questa ingenuità , e con la tentazione di schernirla, si attribuisce un codice che prevede la pena massima di 21 anni. Eppure la Norvegia ha la più bassa percentuale di detenuti, e spende per loro quasi quanto l’Italia, che ne ha venti volte di più. La Scandinavia ha molte facce, dunque. Si può anche descriverla così: quella parte estrema dell’Europa dove si spediscono i rifiuti di Napoli, e che li tramuta in energia.

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