Se la manovra risparmia i paradisi fiscali

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Si parla della politica come di una corporazione. Magari! Le corporazioni avvertono i pericoli che le minacciano e sono pronte, quando quelli diventano imminenti, a pagare il costo di un ripiegamento: come sarebbe da noi la riduzione del numero dei deputati (promessa da secoli) o l’abolizione delle province.
La politica italiana sembra invece priva anche dell’istinto di conservazione. Non è una corporazione. È una consorteria.
Ciò detto è incredibile e anche vergognoso che si punti il dito sulla invasione senza dire una parola sulla evasione. Sul fatto che un terzo del reddito reale, quello dei più ricchi, si sottrae ai propri doveri fiscali.
Pochi numeri rendono l’idea. Stime dell’Istat collocano il tasso di evasione medio nazionale al 13,5 del reddito dichiarato. Medio, significa benefici praticamente nulli per i dipendenti e i pensionati, stratosferici per gli autonomi e i rentiers che presentano un tasso di evasione rispettivamente del 56 e dell’84 per cento del reddito. In parte cospicua anche se non accertabile quelle ricchezze evasive affluiscono nei paradisi fiscali.
Secondo un calcolo dell’Ocse, che dovrebbe sorvegliarli e contrastarli, a fine 2008 i capitali accolti in paradiso ammonterebbero globalmente a circa 7 mila miliardi di dollari. Lo Scudo fiscale eretto dal nostro governo apre ai capitali italiani peccatori le porte del paradiso: una provvidenziale via di redenzione.
Chiudere i paradisi? Anche per Nostro Signore sarebbe difficile: non ci si può sottrarre al ricatto capitalistico della migrazione dei capitali “altrove”. Verrebbe voglia di dire: è il capitalismo, stupido. Ma c’è modo di non subire interamente il ricatto.
Primo, denunciandolo, come si fa con la mafia. Ora, l’Italia è il solo paese al mondo in cui un presidente del Consiglio dichiara invece pubblicamente di comprendere le ragioni degli evasori.
Secondo: il rapporto tra Stato e capitalismo, che può essere declinato in modi assai diversi. Si va dalle repubbliche di banane dei Caraibi al compromesso socialdemocratico o cattolico democratico tra democrazia e capitalismo.
Il livello del confronto dipende in primo luogo, ovviamente, dal rapporto di forze. Per i “mercati” altro è avere a che fare con l’Italia o con l’Europa: e qui si misura il costo della fiacchezza europea. Dipende poi dalla competenza e dalla qualità  dei governi nazionali.
Ci sono due aspetti che possono aumentare il grado di autonomia della politica dal ricatto capitalistico per i governi nazionali: i conti in ordine e l’autorevolezza. In Italia purtroppo non disponiamo né degli uni né dell’altra.
I conti sono pessimi. Quanto all’autorevolezza siamo piuttosto lontani da quella del generale de Gaulle (proprio in tema di paradisi fiscali non dimentichiamo che il generale minacciò di intervenire militarmente a Montecarlo. Solo Bossi potrebbe farlo con le sue baionette padane) e più vicini a una repubblica di banane.
Un soprassalto di dignità  è quello che il presidente della Repubblica, il solo vero garante della dignità  del Paese, ha ottenuto dal senso di responsabilità  delle opposizioni con il via libera all’approvazione di una manovra disapprovata. Ma non basta certo.
Affidare una manovra economicamente sconnessa e socialmente iniqua alla gestione di un governo rissoso? È questo che ci aspetta nei prossimi due anni?


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