Tagli alla spesa, il rebus di Obama

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NEW YORK — Lo schema è abbozzato: riduzione del deficit per una cifra vicina ai 4 mila miliardi di dollari, in cambio del via libera all’innalzamento del debito che ha già  toccato il tetto di 14.294 mila miliardi di dollari, fissato per legge. Ma, come ha comunicato lo stesso Barack Obama, l’incontro di ieri mattina con i leader di democratici e repubblicani (poco più di un’ora alla Casa Bianca), si è chiuso senza un accordo. Gli esperti dei due partiti continueranno a lavorare con lo staff del presidente. «Ci rivedremo tutti domenica» , ha annunciato lo stesso Obama, lasciando il tavolo di un «confronto molto costruttivo» .
 «Le posizioni — ha aggiunto— sono ancora distanti su un largo spettro di temi, ma tutti concordiamo sul fatto che un’intesa è necessaria» . Sulle cifre enormi, quasi impossibili, della finanza pubblica americana si incrociano le possibilità  di rielezione del leader democratico, gli interessi di tutte le lobby economiche e sociali del Paese, l’attesa di piccoli risparmiatori e grandi investitori nel mondo.
Obama si è presentato all’incontro di ieri con la solita cartellina blu su cui campeggia lo stemma presidenziale: l’aquila a stelle e strisce che artiglia un pugno di frecce da una parte e un ramo d’olivo dall’altra. Ma questa volta il numero uno della Casa Bianca ha indirizzato ai repubblicani più aperture che attacchi. Per una ragione molto semplice: la catastrofica ipotesi di un crack di Stato (senza precedenti) ricadrebbe in gran parte sull’amministrazione in carica, affossandone il capo.
Finora il negoziato era rimasto bloccato da un doppio veto. I repubblicani chiedevano di sanare il deficit tagliando solo la spesa pubblica, a cominciare dalle voci più corpose: welfare e assistenza sanitaria. Dall’altra parte i democratici insistevano sull’abolizione dei benefici fiscali concessi dal presidente Bush a larghe fasce di cittadini e che arrivano a scadenza alla fine del 2012. Ieri Obama ha cercato di uscire da una semplice logica di mediazione («l’allenatore di basket che sa solo chiedere il time-out» per citare il martellamento satirico cui lo sottopone ogni sera la conservatrice Fox tv). E allo speaker del Congresso, il repubblicano John Boehner, ha presentato una serie di ipotesi tra le quali, alla voce «tagli» , figuravano anche per la prima volta i programmi di Medicare (assicurazione per gli ultra 65enni), Medicaid (assistenza medica per i cittadini a basso reddito) e Social Security (le pensioni).
Già  due giorni fa, nel corso di una conversazione via Twitter aperta a tutti, Obama non aveva escluso alcuna misura, spiegando che il «pacchetto» avrebbe dovuto avere due componenti: un aumento delle entrate fiscali, cominciando con l’abolire le esenzioni di cui godono «i milionari, i miliardari e alcuni grandi gruppi industriali» ; e «un rigoroso» taglio della spesa pubblica, «passando in rassegna ogni singola voce» . Ogni singola voce: questa è la chiave che può convincere i repubblicani ad accettare la proposta di Obama. Non sarà  facile, però, tradurla in concreto. Il presidente, nella sua rincorsa al partito avversario, deve stare attento a non scoprirsi troppo in casa. I senatori democratici, guidati da Harry Reid, si sono pubblicamente impegnati a tutelare «le conquiste storiche» delle due grandi stagioni riformiste (Social Security nel 1935 con Roosevelt; Medicaid, Medicare, nel biennio 1964-1965 con la Great Society del presidente Johnson). «Se tocchiamo la spesa sociale, con che faccia ci presenteremo davanti agli elettori la prossima primavera?» avrebbe chiesto, a muso duro, Reid direttamente a Obama. Ma sullo sfondo ci sono i numeri e le tabelle del Segretario al Tesoro Timothy Geithner: il tetto del debito pubblico ha già  raggiunto il 16 maggio scorso la soglia prefissata. Se il Parlamento non autorizza a vendere nuovi bond, il sistema America finisce diritto nel caos finanziario. Geithner aveva chiesto un voto entro il 2 agosto. Ma a quanto pare il tempo a disposizione è ancora più corto.


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