Tedesco: “Votate per il mio arresto” lo salvano Lega e garantisti del Pd

by Sergio Segio | 21 Luglio 2011 7:29

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ROMA – Mandatemi in carcere (agli arresti domiciliari per la verità ). E fatelo con un voto palese, senza il velo di un pronunciamento segreto. Sono le parole di Alberto Tedesco, senatore ex Pd passato al gruppo Misto, già  assessore alla Sanità  nella Regione Puglia, rivolte all’aula di Palazzo Madama dove va in scena la seconda richiesta di arresto della giornata. Un po’m meno importante di quella che sconvolge la maggioranza alla Camera. Un sotto-clou si direbbe in termini pugilistici. Ma che lascia alcuni feriti sul campo. Il Partito democratico innazitutto.
Si spacca il partito di Bersani. Ottiene un risultato a Montecitorio, ma salva uno dei suoi al Senato. E l’appello alle dimissioni lanciato in serata dal segretario («Vedremo cosa fa Tedesco») è destinato a cadere nel vuoto. Perché l’elegantissimo senatore, dopo essersi salvato, dice chiaro e tondo: «Non faccio il dimissionario di professione». I dissensi democratici vengono allo scoperto. Lucio D’Ubaldo, parlamentare di estrazione ex Ppi, non si nasconde dietro il voto segreto: «Ho detto no all’arresto. E mi sono fatto due conti: siamo stati una quindicina nel gruppo del Pd a respingere la richiesta del tribunale di Bari. Lo abbiamo salvato un po’ noi un po’ la Lega». Spiega D’Ubaldo: «Sono garantista e la magistratura ha a disposizione altri strumenti per perserguire un cittadino. Votare l’arresto preventivo? È un salto nel buio e io non l’ho fatto. Vale anche per Papa, per quanto mi riguarda». L’ex presidente del Senato Franco Marini ha criticato il sì all’arresto nell’assemblea del gruppo anche se non dice ufficialmente come ha votato in aula. L’ex ds Franca Chiaromonte è un’altra garantista di ferro. Nicola Latorre e Colomba Mongiello hanno sbagliato a votare e il loro voto non è stato registrato. Loro ammettono l’errore ma non si può fare a meno di notare che sono entrambi pugliesi ed entrambi dalemiani, l’area di riferimento di Tedesco. «Dalemiani, ex popolari, liberi pensatori. I no all’arresto ci sono stati anche nelle nostre file – insiste D’Ubaldo – . Una scelta sacrosanta, anche se non organizzata. Sono rigoroso sulle questioni giudiziarie ma dico no a misure prese quando il processo deve ancora cominciare».
Anna Finocchiaro aveva annusato l’aria. Ha chiesto il voto palese temendo una mini-frattura. Diversa da quella che ora investe la maggioranza Pdl-Lega eppure significativa. Tedesco non offre il destro a lacerazioni nel suo ex partito. «Sommessamente ma fermamente vi invito a dire sì alla richiesta di arresto – dice il senatore indagato nel suo discorso all’aula – . La sede naturale per dimostrare l’estraneità  ai fatti contestatimi è la sede del processo». Ma spera, certo, nella salvezza. «Fai quel che devi, succeda quel che può», conclude Tedesco. E succede molto. Una mezza rissa nel Transatlantico di Palazzo Madama. Domenico Gramazio insulta il senatore Pd Giaretta appena fuori dall’aula: «Pezzo di m… Sappi che 24 dei vostri hanno salvato Tedesco». Finocchiaro nega, scarica tutto sulla Lega. «Lo dicono i numeri». Ma sono i suoi senatori a smentirla. E la questione democratica può esplodere oltre i confini del Senato. Tedesco sposa la tesi del tradimento leghista: «Sono stati loro ad aver votato sporco». Ma adesso si prepara a respingere le pressioni di Bersani, Bindi e Ignazio Marino per le dimissioni. «Non ci penso proprio. E dico che il carcere preventivo è una barbarie». Alla fine restano solo le “buone intenzioni” espresse nell’intervento del senatore accusato. La Finocchiaro risale l’emiciclo per fargli i complimenti. Bersani osserva: «È stato un bel discorso». Ma più delle parole contano i numeri. E Tedesco non ai domiciliari.

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