Tokyo pronta all’addio all’atomo, ma solo in un futuro imprecisato
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TOKYO. Presentatosi a una conferenza stampa in pieno stile «cool biz», senza la cravatta per ridurre il consumo di aria condizionata, il premier giapponese Naoto Kan ha preso posizione sulla politica nucleare del paese. «Dovremmo ridurre la dipendenza dal nucleare in maniera graduale», ha detto Kan. «Così da poter realizzare, in futuro, una società in cui si può andare avanti anche senza energia atomica».
Il progetto annunciato sembrerebbe una scelta radicale per un paese che fino all’11 marzo dipendeva dall’atomica per circa il 30% del fabbisogno energetico. Ma è su quella parola, «futuro», che sono piovute le critiche.
Secondo quanto aggiunto dal premier, infatti, è ancora prematuro stabilire una data entro cui la denuclearizzazione del paese potrebbe aver inizio. Insomma, l’idea c’è ma manca un progetto concreto.
D’altronde, solo a giugno dello scorso anno era stato lo stesso partito di maggioranza a predisporre un piano energetico nazionale che prevedeva la costruzione di 14 nuovi reattori e così l’aumento dal 26 al 53% della produzione di energia nucleare entro il 2030. Il piano naturalmente è stato annullato in seguito all’incidente a Fukushima e il premier negli ultimi mesi ha più volte ribadito la necessità di puntare su risorse alternative ora che la capacità energetica totale è stata ridotta dell’11%.
Al momento solo 19 dei 54 reattori sono in funzione e, sulla scia della decisione europea, anche in Giappone saranno effettuati stress-test, secondo quanto annunciato dal ministro dell’economia e dell’industria. In base al risultato di questi test si stabilirà se i reattori che allo stato attuale sono spenti per manutenzione potranno tornare ad operare.
«Se gli esperti giudicheranno idonei gli impianti, si potrà considerare l’eventualità di rimettere in funzione i reattori». ha detto Kan. Nonostante secondo un sondaggio della televisione pubblica NHK l’indice di gradimento del premier sia sceso al 16% e le parole «Kan oroshi», o «carica Kan», siano ormai entrate nel linguaggio quotidiano, il primo ministro non ha intenzione di mollare. Dopo esser sopravvissuto a un voto di sfiducia a giugno, ha annunciato che non darà le dimissioni almeno fino a quando non sarà passata una nuova legge sulle politiche energetiche.
Intanto, a livello locale, in alcune prefetture sta maturando l’idea di scommettere su risorse energetiche alternative per non dipendere più dall’atomo. Mentre a Fukushima una commissione indipendente incontrerà a fine mese il governatore per proporre un futuro senza nucleare per la regione, a Osaka il sindaco ha annunciato di voler impiegare elettricità proveniente da risorse alternative come l’energia solare o quella prodotta con lo smaltimento dei rifiuti.
Ma l’indipendenza del Giappone dall’atomica non solo dovrà passare sopra alla lobby dell’industria nucleare che per più di 50 anni è stata protetta e supportata da politici e media, ma l’intero sistema dei sussidi statali dovrà essere rivisto. Per anni, infatti, il governo ha sovvenzionato le regioni che ospitavano gli impianti nucleari con sussidi che solo nel 2009 ammontavano a circa 800 milioni di Euro, secondo le stime del ministero dell’economia.
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