Unicredit e Mediobanca mettono all’angolo l’impero familiare di Don Salvatore

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MILANO – Dal quartier generale dei Ligresti cercano di spacciare il passo indietro dei figli dalle cariche operative del gruppo Fonsai come un atto di responsabilità  verso il mercato. In realtà , la morsa delle banche creditrici si sta facendo sempre più stretta e sta costringendo la famiglia a ridurre progressivamente il proprio ruolo a quello di socio che non interferisce nella gestione. Nel mirino non solo della stampa e della Consob ma anche dei rappresentanti delle banche presenti nel consiglio di Fonsai sono finte le famigerate operazioni con parti correlate. Cioè transazioni spesso in conflitto di interesse compiute con altre società  del gruppo e su cui Jonella e Paolo Gioacchino potevano deliberare in autonomia in quanto dotati dei poteri di firma. Non solo Unicredit, in qualità  di creditore e neo azionista, e Mediobanca (creditore) ma anche il fondo Amber e le recenti indicazioni provenienti dall’Isvap hanno chiesto un segnale di discontinuità  rispetto al passato. Segnale che è arrivato ma che è ancora parziale poiché Giulia è ancora presidente di Premafin, anche se si sta discutendo di possibili dimissioni, mentre Jonella e Paolo, seppur senza deleghe, rimangono nelle loro posizioni con remunerazioni ben sopra la media dei concorrenti. Dal prospetto informativo sull’aumento di capitale appena concluso da Fonsai erano emerse partite imbarazzanti, come finanziamenti a società  dei figli per attività  fuori dal core business, come la produzione di borse o il mantenimento della scuderia di cavalli.
E tutto ciò non può continuare in un momento in cui la compagnia ora guidata da Emanuele Erbetta e Pier Giorgio Peluso sta faticosamente cercando di risalire la china. L’aumento di capitale, concluso grazie alla garanzia di Credit Suisse e Unicredit e al forte sconto offerto, non risolve certo tutti i problemi. Il solvency ratio di Fonsai è il più basso del settore, tra 120 e 125 punti, il titolo in Borsa ha toccato minimi solo impensabili qualche mese fa, la gestione operativa dà  qualche segnale di miglioramento ma è sempre molto sofferente e tutte le partecipazioni sono a rischio “impairment” (adeguamento ai valori di mercato) visto i crolli di Borsa degli ultimi tempi. Tra l’altro l’eventuale cessione di partecipazioni storiche, ma ormai non più strategiche, come Pirelli, Gemina, Rcs e Impregilo non può essere realizzata poiché porterebbe solo minusvalenze e non migliorerebbe il profilo patrimoniale del gruppo.
Si vedrà  nei prossimi mesi se il passo indietro della famiglia Ligresti diventerà  definitivo o si fermerà  qui. Di certo Unicredit e Mediobanca, seduti nella cabina di regia del salvataggio, non sono disposte a fare grandi sconti all’Ingegnere di Paternò. Pesano anche vecchi rancori che avevano portato Salvatore a dare la spallata decisiva a Vincenzo Maranghi, l’ex ad di Mediobanca, ai tempi della scalata a Generali dei banchieri Profumo e Geronzi. Fatti che Renato Pagliaro, oggi presidente di piazzetta Cuccia, e Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, cioè gli uomini storicamente più vicini a Maranghi, difficilmente dimenticano.


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