Usa e Ue: i default non sono uguali
Il debito pubblico americano, 14.400 miliardi, è quasi il 100% del Pil; in Spagna è il 68%. Il disavanzo, 11% nel 2011 e 7,5% nel 2012, è a livelli da Grecia. E come in Grecia c’è il rischio che il governo non sia in grado di onorare i propri debiti. Eppure il mercato si accontenta del 2,8% per i T Bond americani a 10 anni (e dello 0,11% per i T Bills a 3 mesi), contro il 6% in media per Btp e Bonos e il 14% per i titoli greci.
E il governo USA, per ora, mantiene la sua AAA, mentre nell’Eurozona fioccano i declassamenti. È la dimostrazione di un attacco della finanza anglosassone al mai amato Euro? No. È il segno delle profonde diversità tra le crisi del debito nell’Eurozona e quella americana. C’è default e default. Negli Usa la legge di bilancio, che pone un tetto in valore assoluto alle autorizzazioni di spesa del Governo, viene utilizzata strumentalmente dal Congresso repubblicano per imporre un taglio delle spese e costringere Obama a smantellare i programmi sociali che invece lui vorrebbe finanziare con maggiori tasse; così da indebolirlo in vista delle elezioni del 2012. In gioco c’è anche il ruolo dello Stato nell’economia: i democratici vogliono espanderlo, i repubblicani ridurlo. Ma nessuno crede che i repubblicani siano politicamente così stupidi da volere un lungo blocco dell’attività del Governo per meri scopi di potere; e infatti, il mercato sconta, al massimo, temporanee difficoltà nei finanziamenti pronto/termine a breve (dove i TBills sono usati come garanzia).
Chi investe nel debito pubblico guarda alla volontà , capacità e credibilità di un paese di adottare e mantenere politiche fiscali in grado di riportare il debito a livelli sostenibili. Sotto questo aspetto, Usa e paesi dell’Eurozona sono in situazioni molto diverse. Repubblicani e democratici non discutono su dimensione e/o costo dell’austerità fiscale necessaria a ridurre il debito, ma su come farlo: più tasse o meno spese? Ma nessuno mette in discussione la priorità di risanare i conti. Inoltre, i livelli di spesa e di tassazione federale sono la metà di quelli europei, rendendo più facile qualsiasi manovra fiscale. La crescita potenziale americana, stimata al 3%, è quasi il triplo che in Italia, Spagna o Grecia. E l’economia, molto più flessibile è in grado di assorbire le politiche di bilancio senza i nostri costi sociali.
Il debito Usa è anche calcolato in modo diverso: poiché i contributi versati eccedono la spesa corrente per pensioni e sanità , il surplus viene accantonato presso il Tesoro e contabilizzato come debito pubblico, anche se è verso altri enti governativi. Ci sono quindi 4600 miliardi che non sono rappresentati da titoli sul mercato e che andrebbe tolti dal computo, per renderlo omogeneo all’Eurozona. Così il debito scenderebbe a 9800 miliardi: il 65% del Pil. Di questi, quasi la metà sono detenuti all’estero (2100 da Cina e Giappone): la proporzione è la stessa dell’Italia, ma il nostro governo, e gli altri dell’Eurozona, non emettono debito in una moneta di cui controllano il valore. Così gli USA potrebbero ricorrere alla svalutazione del dollaro per alleggerire l’onere dell’aggiustamento fiscale. La Cina potrà pure minacciare di disertare i titoli americani in futuro; ma per quelli accumulati finora, non può farci niente. Per conferma, chiedere ai giapponesi. A differenza dell’Eurozona, gli USA potrebbero usare anche l’inflazione per ridurre il debito domestico: il rimedio più antico del mondo. I rendimenti richiesti dagli investitori salirebbero, ma proteggerebbero dall’erosione di valore solo i nuovi titoli emessi, non lo stock esistente. Un’inflazione media al 4,5%, rispetto al 2% implicito nei tassi attuali, ridurrebbe l’onere del debito del 20% in 10 anni. Dollaro stabile e tassi sui TBonds ai minimi storici segnalano che gli investitori, non solo americani, non si preoccupano dei default tecnici, e non dubitano che la finanza pubblica americana possa essere rimessa in carreggiata. E indicano la preoccupazione per un futuro di bassa crescita e austerità fiscale, piuttosto che di inflazione e svalutazioni. Un crisi del debito, dunque, diversa dall’Eurozona. Da non leggere con la lente della politica nostrana, come invece siamo soliti fare.
Related Articles
Operaio schiacciato dall’asfaltatrice. Il primo morto del 2007
Dal sito di Articolo 21, che tiene una rassegna sui morti per causa di È il primo morto sul lavoro
Il Paese reale «Così curiamo il lavoro malato nella periferia dell’industria»
Aspettando i disoccupati in un’agenzia privata alle porte di Torino Collegno fa parte della prima cintura di Torino. Negli anni d’oro è stata una delle piccole capitali dell’indotto Fiat, poi le aziende fornitrici hanno preso a diversificare e a lavorare per tedeschi e francesi.
Jobs act, Cgil e Uil danno battaglia Poletti: nessuna trattativa sui decreti
L’incontro tra il ministro Poletti e sindacati. La Cisl: l’indennizzo deve essere congruo