AAA, il sogno di Obama non risolleva l’America

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Ma una nuova recessione sarebbe «più dolorosa» di quella del 2008, scrive il New York Times citando alcuni analisti, secondo i quali l’economia è più debole di quando è entrata in recessione nel 2007. Anzi, la crescita è stata debole e il terreno perso non è stato recuperato, anche se la ripresa è iniziata tecnicamente nel giugno 2009.
Alzando gli occhi dalle borse, il presidente ha anche ricordato, con parole di lode, i trenta soldati americani rimasti uccisi sabato in Afghanistan, dove i talebani sono riusciti ad abbattere un elicottero, il colpo più duro di questa guerra iniaizta quasi dieci anni fa.
«Non abbiamo bisogno dell’opinione di un’agenzia di credito per sapere che bisogna adottare un approccio equilibrato nella gestione della riduzione del deficit, o che una trattativa arenata al Congresso non evoca un’immagine costruttiva», ha affermato ancora il presidente e ha aggiunto: «Warren Buffett ha detto che, se esistesse un rating con l’A quadrupla, andrebbe sicuramente agli Stati Uniti. E’ infatti evidente che nessuno dubita della nostra capacità  di ripagare i debiti, quanto piuttosto è in discussione la funzionalità  del nostro sistema politico».
Nonostante le cifre in discesa che arrivavano da Wall Street nel corso di tutta la mattinata, Obama dichiarava che «il mercato riconferma comunque il nostro credito come uno dei più sicuri del mondo. La buona notizia, adesso che abbiamo messo da parte la questione del tetto del debito, è’ che i nostri problemi sono risolvibili in tempi relativamente brevi».
«L’ostacolo» – ha ribadito ancora – non sta nei numeri o nella scarsità  di idee, ma «nella mancanza di volontà  politica a Washington, dove c’è ancora chi si rifiuta di mettere il benessere del paese davanti alle divisioni di partito e dell’ideologia». Collocandosi nuovamente nel suo miraggio favorito, quello di un ipotetico centro dove si praticano «buon senso e l’arte del compromesso», Obama ha evitato per l’ennesima volta l’attacco diretto ai repubblicani, che farebbero qualsiasi cosa per vederlo morto, e ha accomunato i due partiti al governo in un’immagine di più generale disfunzionalita’. «Gli americani hanno attraversato moltissime difficoltà ‘ negli ultimi anni. E lo hanno fatto con grazia. Il minimo che si possa chiedere è che qui a Washington si lavori duro quanto hanno lavorato loro».
Ricordando l’accordo «storico» di appena una settimana fa e criticatissimo sui tagli alla spesa raggiunto in cambio dell’ok repubblicano all’aumento del tetto del deficit, Obama ha indicato i due passi successivi da fare: «Una riforma delle tasse che chieda a chi se lo può permettere di pagare il dovuto e dei modesti aggiustamenti di programmi sanitari come Medicare».
Secondo l’accordo promosso dal presidente e siglato da Camera e Senato il 2 agosto scorso, l’incipit in direzione di quei passi arriverà  da una supercommissione bipartitica istituita appositamente per affrontare il problema del deficit. Ma, ha sottolineato il presidente, la proccupazione più grossa rimane quella della disoccupazione, e «della lentezza della ripresa economica». Per meglio affrontare la crisi, Obama ha auspicato l’estensione di alcune riduzioni fiscali sugli stipendi e l’estensione dei sussidi di disoccupazione. «Per evitare che vadano perduti altri posti di lavoro e per riportare contante nelle tasche dei consumatori e gente nei negozi».
Il presidente ha anche accennato a un piano d’investimenti di lavori pubblici per riparare strade e ponti: «Non si tratta di idee democratiche, ma di idee che anche i repubblicani hanno sempre appoggiato».
«Ci saranno sempre fattori economici che non possiamo controllare. L’importante è come si reagisce a queste crisi», ha chiuso Obama evocando la storica «determinazione» dello spirito americano. «I cittadini di questo paese sono la ragione per cui continuo ad essere ottimista, anche in un momento come questo». E’ che, da parte loro, quei cittadini, oggi, hanno zero strumenti per condividere quel suo stato d’animo.


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