Afghanistan, la strage dei Navy Seals

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NEW YORK – Trentuno uomini delle forze speciali del Pentagono, di cui 22 Seals della Marina, e sette soldati afgani sono morti venerdì notte nel corso di una pericolosa operazione contro i guerriglieri Taliban nella vallata del Tangi, nella provincia orientale di Wardak, non lontano da Kabul. Si stavano spostando con un Chinook quando l’immenso elicottero da trasporto della Nato, munito di due pale, è stato colpito da un Rpg (rocket propelled grenade) sparato da terra dagli insorti, ed è precipitato in una palla di fuoco e di fumo uccidendo tutti coloro che erano a bordo.
Nei dieci anni di guerra in Afghanistan né gli Stati Uniti né le altre forze della coalizione internazionale avevano mai avuto una perdita così grave di vite umane in un solo incidente. Il precedente «record del sangue» risaliva al 2005 quando un altro Chinook precipitò nella provincia di Kunar con quindici soldati americani e tre civili.
Paradossalmente la strage di venerdì notte, in cui sono morti alcuni Navy Seals membri del “Team Six”, lo stesso che il 2 maggio scorso uccise Osama Bin Laden nel blitz nella città  pachistana di Abottabad, coincide con l’avvio del ritiro del contingente internazionale, che è oggi di 150mila truppe, di cui 100mila americane, e che si concluderà  alla fine del 2014.
È stato il presidente afgano Hamid Karzai a dare la notizia dell’abbattimento dell’elicottero e a trasmettere le sue condoglianze a Barack Obama. Il portavoce dei Taliban Zabiullah Mujahid ha rivendicato l’azione, precisando che c’erano «otto martiri» tra gli insorti. Il presidente americano ha subito espresso il suo cordoglio ai familiari delle vittime, ricordando che i soldati erano lì perché l’Afghanistan potesse avere «un futuro di pace e di speranza». Ma non c’è dubbio che l’incidente darà  nuovo vigore non solo a chi, negli Stati Uniti, chiede di anticipare il ritiro completo prima del 2014, in modo da mettere fine a una guerra che ha dissestato i bilanci ed è costata la vita a tanti giovani, ma anche a quanti sostengono che il paese sia ancora troppo insicuro per poterlo lasciare nelle mani di Kabul senza il rischio di un ritorno dei Taliban.
Nell’ultimo anno le forze della coalizione hanno fatto molti progressi specie nel Sud, la roccaforte degli insorti, i quali però hanno dimostrato di essere in grado di cambiare tattiche e di organizzare attacchi in altre zone del paese. Sono anche riusciti ad assassinare il fratellastro di Karzai.
La crescente pressione militare ha comunque provocato più vittime da entrambe le parti. L’anno scorso l’Isaf (International security assistance force), cioè le forze della coalizione, ha perso 711 uomini: il bilancio più alto dall’inizio dei combattimenti nell’autunno 2001.
Nell’anno in corso sono morti altri 374 soldati stranieri, di cui due terzi americani, oltre a un numero altissimo di civili: secondo un rapporto dell’Onu, nei primi sei mesi del 2011 ci sono state 1462 vittime tra la popolazione, di cui l’80 per cento per colpa degli insorti.
Sempre ieri, l’International crisi group (Icg), un attivissimo think tank con sede a Bruxelles, ha denunciato lo spreco degli aiuti economici internazionali diretti all’Afghanistan. A dispetto dei 57 miliardi di dollari spesi nell’ultimo decennio, spiega l’Icg, «le istituzioni dello stato rimangono fragili, senza governance, incapaci di fornire servizi ai cittadini e di garantire la sicurezza».


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