Albertini e quelle quattro denunce «Strano silenzio dai magistrati»

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MILANO — Lo aveva detto. Anzi, lo aveva detto, ripetuto e anche scritto. Gabriele Albertini, sindaco dal 1997 al 2006, aveva presentato quattro denunce a quattro magistrature diverse, convinto com’era che nell’operazione Serravalle gestita da Filippo Penati si potessero ravvisare almeno un paio di reati: truffa aggravata e abuso d’ufficio. «E non ho mai capito perché, a fronte di tanti documenti, la magistratura penale fosse rimasta stranamente silenziosa». Per dare conforto alle proprie convinzioni, Albertini si era consigliato anche con Antonio Di Pietro, Gerardo D’Ambrosio e Saverio Borrelli, nell’epoca in cui tutti e tre avevano lasciato la magistratura. E Di Pietro, l’unico che aveva accettato di esaminare carte e dossier, aveva spinto Albertini a rivolgersi ai magistrati, sostenendo che il caso rappresentava una nuova fase del tangentismo. «Ingegnerizzazione della corruzione», l’aveva definita l’attuale leader dell’Idv.
Eppure Albertini e Penati, in epoca precedente, erano stati alleati contro la presidente della Provincia Ombretta Colli per impedire che la società  delle tangenziali venisse scalata dall’unico socio privato, il gruppo Gavio. «Gavio è un ostacolo alla legalità  in Serravalle», aveva accusato Penati. Pochi mesi dopo, però, Bruno Binasco, uomo forte del gruppo Gavio, oggi nel consiglio di amministrazione della spa, avrebbe spiegato in una telefonata intercettata che «il problema non è Penati, con lui un accordo si trova». E un’altra intercettazione, del 30 giugno 2004, rivela che Bersani riferisce a Gavio di aver parlato con Penati e di aver organizzato un incontro «in un luogo riservato» fra i due.
Albertini si era limitato a fare un paio di conti, preciso com’è. Nel luglio 2005, il presidente Penati aveva acquistato dal gruppo Gavio il 15 per cento delle loro azioni (arrivando ad accumulare un pacchetto complessivo del 53 per cento), pagando 8,973 euro ogni quota che a Gavio era costata 2,9 euro. «Gavio ha incassato un utile netto di 179 milioni di euro», aveva scritto Albertini nelle sue denunce. L’ex sindaco di Sesto aveva spiegato che l’operazione serviva a garantire la maggioranza pubblica della società  alla Provincia. Ma Albertini era andato su tutte le furie: «La maggioranza pubblica è già  garantita dal patto di sindacato che unisce Provincia e Comune», aveva tuonato. Non è finita qui: Albertini aveva anche denunciato una confidenza ricevuta dall’allora suo assessore Giorgio Goggi: «Aveva saputo da Gavio che quell’operazione era stata benedetta dai vertici ds. Ma perché nessun magistrato lo ha mai chiamato per avere conferma di quella dichiarazione?».
Il sindaco si era rivolto alla magistratura contabile e civile, facendo osservare il fatto che l’operazione di Penati aveva tolto valore al pacchetto di 18 per cento di azioni detenuto dal Comune. Il danno erariale era stato riconosciuto e la Provincia è stata condannata al pagamento simbolico di 400 mila euro. Il problema del perduto valore di queste quote esiste ancora oggi: come noto, il Comune ha messo a bilancio la vendita di Serravalle e il bando scade fra pochi giorni: la cifra chiesta è di 170 milioni di euro, come da perizia dell’advisor, che aveva definito una forbice compresa fra i 164 e i 200 milioni. Malgrado si sia stati al minimo della valutazione, a oggi non si è presentato nessun potenziale acquirente. Da lunedì, quindi, la giunta Pisapia dovrà  aprire un nuovo bando a offerta libera: poiché c’è una delibera di consiglio che fissa il prezzo, se arrivassero offerte inferiori bisognerà  tornare in aula per dare il via libera alla vendita. Ma Albertini, Cassandra che nell’apertura dell’inchiesta su Serravalle trova un po’ di giustizia, lo aveva detto.


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