Berlino, 1961-2011. Un muro tra generazioni

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La costruzione e la caduta del muro di Berlino vengono ricordati in continuazione. Ne è nato un dibattito che spazia dalla violazione dei diritti dei cittadini della Repubblica democratica tedesca (Ddr) alla rivoluzione pacifica del popolo, fino all’unificazione tedesca. Questo racconto collettivo non tiene però conto di un elemento decisivo: la terza e ultima generazione della Germania Est.

Noi, i giovani tedeschi dell’est, avevamo forse otto o dieci anni quando è caduto il muro e abbiamo trascorso gran parte della nostra vita nella Germania riunificata, con tutte le sue libertà . Siamo arrivati alla meta e ci siamo lasciati alle spalle la vecchia trincea che divideva l’est dall’ovest. O almeno così abbiamo quasi creduto.

Eppure, il muro fa ancora parte di noi. Da qualche parte c’è ancora il ricordo sbiadito dei primi pomeriggi dei giovani pionieri. Alcuni di noi, credendo ciecamente ai familiari e agli insegnanti, portavano garofani rossi in occasione di anniversari ufficiali. Altri avvertivano la paralisi che attanagliava i nostri genitori quando gli veniva rifiutato il passaporto. Vergogna e orgoglio erano e sono intimamente collegati. Non solo. Il muro è stato abbattuto vent’anni fa, ma nelle nostre famiglie continuiamo ad avvertire la sua presenza: separa i genitori dai figli e determina come e cosa ricordiamo.

Una lettera dell’assicurazione provocava crisi esistenziali

Insieme alla Ddr, sono crollati tutti i punti di riferimento. Quel che di colpo è venuto a mancare non è stato solo il confine, ma anche la protezione del muro e un paese che non molti amavano, ma in cui quasi tutti avevano imparato ad arrangiarsi. Da un giorno all’altro i nostri genitori hanno dovuto risolvere problemi che non conoscevano. Hanno dovuto adattarsi a un sistema diverso da quello che avevano sognato. Così, la lettera lapidaria di un avvocato o di un’assicurazione riusciva a scatenare crisi esistenziali, perché nessuno sapeva che cosa significasse davvero.

All’improvviso i progetti di vita dei nostri genitori hanno perso ogni valore. Di punto in bianco, è sembrato che tutte le loro esperienze si fossero rivelate sbagliate. Improvvisamente, i nostri genitori si sono sentiti deboli. Hanno dovuto imparare da soli che la promessa della permanente ai capelli era vuota come quelle della Cdu. E non importava che fossimo figli di un operaio, di un pastore evangelico o di un funzionario: nessuno sapeva cosa fare, tutti erano sopraffatti.

Questa percezione di insicurezza, nelle famiglie come ai piani alti, unisce tutti noi che facciamo parte della terza generazione della Germania Est. I nostri nonni hanno vissuto la guerra. Hanno contribuito in maniera decisiva a ricostruire la Ddr e dare così inizio a una nuova vita. I nostri genitori sono nati negli anni cinquanta e sessanta e non conoscevano altro che questo paese.

La memoria selettiva dei nostri padri

Tra il 1975 e il 1985, in Germania orientale sono venuti al mondo circa 2,4 milioni di bambini. Quelle persone sono la terza generazione di un paese che non esiste più. Neanche noi avevamo esperienza del nuovo sistema, solo che noi giovani non avevamo niente da perdere. Vedevamo più opportunità  che pericoli. Abbiamo anche spiegato un po’ ai nostri genitori come va il mondo.

Il risvolto della profonda insicurezza di quel periodo è la memoria selettiva che riguarda la Ddr. I nostri genitori si sono rifugiati in una serie di ricordi schematici. Oggi raccontano poco e in genere solo quello che non li mette a disagio. Non vogliono mettere a repentaglio la loro nuova identità , riconquistata solo di recente. Così i ricordi della loro vita sono sopportabili e pieni di lacune. Parlano del collettivo in cui lavoravano tutti, o delle manifestazioni del lunedì e delle vacanze organizzate. Ma noi giovani gli permettiamo di cavarsela così. Neanche noi abbiamo mai fatto domande. Abbiamo preferito tacere.

Abbiamo taciuto perché non volevamo complicargli ancora di più la vita. Eravamo con loro quando hanno comprato un’auto nuova, quando hanno viaggiato per la prima volta all’estero, quando hanno perso il lavoro e si sono rintanati nel loro giardinetto.

Il non detto tra autoritarismo e “Ostalgie”

Abbiamo taciuto anche di fronte alla rappresentazione pubblica della Ddr e del periodo postrivoluzionario. All’epoca eravamo molto giovani e non potevamo inserirci in un discorso che produceva un’interpretazione univoca della storia. E poi chi mai aveva voglia di dichiarare in pubblico di essere un tedesco dell’est? Siamo integrati e rampanti, ambiziosi e spesso più capitalisti di alcuni occidentali. Preferiamo sbarazzarci delle nostre origini  piuttosto che farle diventare oggetto di dibattito.

Il prezzo di questa tregua silente è che ci siamo dimenticati di fare domande: come si viveva in quello stato totalitario? Perché ha resistito così a lungo? Come ci si sentiva quando ti dicevano che se volevi studiare all’università  dovevi arruolarti nell’esercito? Dove posso trovare il tuo fascicolo della Stasi per leggerlo? Dobbiamo porci tutte queste domande se vogliamo dare inizio a un discorso che sia più complesso e contraddittorio del precedente.

Non vogliamo più trovarci di fronte alla scelta obbligata fra una Ddr che non rispetta i diritti e l’insulsa “Ostalgie”, la nostalgia della Germania Est. Dando voce al non detto, potremo finalmente abbattere il muro che divide le nostre famiglie. (Traduzione di Floriana Pagano)


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