Brixton, dove poveri e minoranze innescano la rabbia delle gang

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LONDRA — «Quei bastardi…» inveisce la proprietaria della panetteria-bar all’angolo di Coldharbour Lane con Effra Road. «Che m’importa se hanno sfasciato le vetrine del negozio, quelle le cambio in fretta. Il problema è un altro, è che adesso si tornerà  a dire che Brixton è pericolosa, che è in mano ai delinquenti. Bugie ma le conseguenze degli attacchi dei vandali, per noi, saranno terribili a livello di immagine». Di origine giamaicana. «Non le dico il nome, mi chiami come vuole, anzi mi chiami signora brioscina». La mattinata l’ha cominciata così: distribuendo «brioscine», cupcake, gratis per tutti. «Noi amiamo la gente — dice — di ogni etnia, di ogni Paese. Non siamo la periferia violenta, siamo la periferia dell’amore».
Armati di bastoni, i teppisti, centinaia di giovani teppisti hanno scatenato l’inferno, nella notte fra domenica e lunedì e nel pomeriggio di lunedì. Secondo round. Come a Tottenham, un giorno prima. È esplosa la guerriglia delle bande. Nel nord londinese, a Enfield, Hackney e Walthamstow, poi nel sud a Brixton, Lewisham e Peckham. Devastazioni. Perché?
È l’intifada degli arrabbiati e dei disoccupati, pure dei delinquenti comuni che si mischiano e si organizzano in gruppetti, che si danno appuntamento per le razzie, incendiano gli edifici, rapinano i megastore, fino all’alba tengono sotto scacco Scotland Yard e rovinano le vacanze del ministro dell’Interno, la signora Theresa May che se ne stava allegra in campagna e torna in fretta e furia perché c’è da capire che cosa è all’origine dei fuochi improvvisi e diffusi della rivolta.
Ci sono i vecchi e i nuovi poveri coi nervi a fior di pelle: hanno perso il lavoro o non lo trovano. E ci sono le minoranze etniche che si sentono discriminate, assillate, pressate dalla polizia. Ma assieme a loro pescano nel torbido i professionisti del crimine. I vandali delle gang che pensano ai loro traffici, che si travestono e s’insinuano nelle pieghe del disagio.
La scintilla l’ha provocata l’omicidio di Mark Duggan, 29 anni, padre di quattro figli, freddato a Tottenham dai poliziotti. Da lì l’incendio sociale si è allargato alle due sponde del Tamigi, in un raggio di una decina di chilometri. A Nord e a Sud.
Brixton è «la casa spirituale» dei giamaicani. Ma non solo la loro. Qui venne in pellegrinaggio Nelson Mandela nel 1996, proprio dove sono avvenute le incursioni di domenica notte. «Ci portò un messaggio di pace». Nel 2000 passò pure Mike Tyson, il pugile. Fu acclamato come un eroe da migliaia di neri e col megafono, da una finestra del commissariato locale, arringò: «I neri di ogni angolo del mondo devono venire a Brixton, la nostra Brixton».
I neri sono la maggioranza ma si parlano 130 lingue e dialetti. Erano posti di fame e di emarginazione, bombardati e distrutti nella seconda guerra mondiale. Col tempo l’area è risorta, diventando l’approdo degli afro-caraibici, il 7 per cento della popolazione londinese secondo il censimento del 2011. Musicisti, commercianti, artigiani, gente che si è integrata.
Dopo le rivolte dei primi anni Ottanta, le etnie si sono affiancate e mescolate, hanno trasformato questo sud londinese nel tempio del reggae e del rock. Discoteche e locali di tendenza. Alla Brixton Academy, una sala di concerti di fama mondiale, hanno suonato i Rolling Stones, i Dire Straits, Bruce Springsteen, Bob Dylan, i Rem. A Brixton sono nati David Bowie e Paul Simonon, il bassista dei Clash che ha composto l’«inno» di Brixton, «Guns of Brixton», le armi di Brixton. Comincia così: «Quando prendono a calci la tua porta come ne esci? Con le mani sopra la tua testa? O sul grilletto della tua pistola?». Facile catalogarlo come quartiere difficile. Non è così.
«Sono stereotipi vecchi». Voci raccolte in Brixton Road, il cuore del quartiere, nelle ore successive ai saccheggi. Domenica c’era una festa di strada. Allegria e balli. Chi lo immaginava quel seguito notturno fino all’alba di assalti e ruberie? Jar Sharp, 34 anni, da 31 vive a Brixton: «Pensavo che il quartiere fosse guarito dai suoi mali. Forse mi sbagliavo ma Brixton non è un ghetto». Mark Bray, 38 anni: «I rivoltosi non ci fanno alcun favore». Sam Grafe, 16 anni: «Qui come a Tottenham o a Hackney il malessere dei giovani viene sfruttato dai delinquenti, è la scusa per le loro razzie». Laura Kurna, 30 anni: «Capisco la frustrazione dei ragazzi, il nostro clima politico ed economico è pessimo. Però, non mi piacciono le violenze».
Non sono solo pochi e isolati teppisti quelli che bruciano le periferie londinesi. Confessa Agnese Spark, che lavora in un negozio di sport in Brixton Road: «L’altra notte ho visto decine e decine di persone normali raccattare di tutto dalle vetrine distrutte a colpi di bastone». Non è una ribellione di massa. È guerriglia che coinvolge soggetti diversi per estrazione. Difficile da controllare e da spegnere. L’insurrezione dei giovani neri e bianchi disperati e dei selvaggi delle gang. Clima orribile.


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