Cina, prove di “grande Borsa” tra Shanghai e Hong Kong

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MILANO – A parlare già  di fusione si corre il rischio di anticipare i tempi. Ma gli addetti ai lavori non hanno la stessa prudenza e si sbilanciano parlando già  di prove tecniche per la nascita della Borsa della grande Cina.
Tutto nasce dall’annuncio arrivato dai vertici della Borsa di Hong Kong che hanno confermato l’avvio di trattative con le altre due piazze principali della Cina continentale, Shanghai e Shenzhen. In una nota ufficiale si sottolinea come – per il momento – i possibili settori di collaborazione riguarderanno i listini, con lo sviluppo di indici comuni, e prodotti derivati sulle azioni, così come lo sviluppo di nuove iniziative comuni, come lo sviluppo di ulteriori listini settoriali. Ma come non hanno mancato di notare i responsabili delle Borse in Europa, nello stesso comunicato si precisa come «non sia stato imposto alcun limite alle discussioni».
Del resto, se l’unione politica tra l’ex colonia britannica e la Cina è già  avvenuta, risalendo oramai al 1997, quando il protettorato è stato ufficialmente restituito a Pechino (pur mantenendo una sua moneta e un suo statuto). Quello che rimane da fare è l’unione economica. Hong Kong è sempre stato in epoca moderna il centro degli affari e della finanza di tutto il sud est asiatico. E attraverso la piazza di Hong Kong le autorità  cinesi tentano da dare uno status internazionale allo yuan. Non a caso, per esempio, Pechino ha autorizzato gli scambi con Hong Kong in yuan e ha tolto il divieto per le società  non cinesi a emettere obbligazioni in valuta cinese.
Ma non sono solo motivazioni geopolitiche quelle che porteranno, prima o poi alla fusione delle tre piazze in un unico gruppo. L’annuncio dell’avvio delle trattative è anche una risposta al processo di consolidamento in atto tra le piazze finanziarie di tutto il mondo. Come aveva già  anticipato in una intervista a Repubblica Xavier Rolet, il numero uno di Lse (la società  che gestisce sia la Borsa di Londra che quella di Milano), alla fine di questo processo rimarranno soltanto quattro-cinque grandi società  frutto di aggregazioni successive, suddivise per aree geografiche e una di questa non potrà  che avere base nel sud-est asiatico. Non a caso, nel corso del 2011 il London Stock Exchange è stato protagonista prima con una proposta di fusione con la Borsa di Toronto. E dopo esser stato respinto, ha allacciato contatti con il Nasdaq, che in Europa controlla già  Omx, la piazza di Stoccolma su cui gravitano anche i listini baltici. Mosse quasi obbligate dopo il matrimonio riuscito tra il New York Stock Exchange e Deutsche Boerse che ha creato la più grande piazza finanziaria mondiale.
In Asia, invece, una fusione tra le tre piazze cinesi darebbe vita a un colosso senza rivali in tutta la zona. Considerando che ha goduto di buona salute anche in questi ultimi anni particolarmente difficili per i mercati finanziari: il fatto di gravitare in un’area in forte sviluppo le ha permesso, anche nel 2010, di attirare investimenti internazionali e con 35,4 miliardi di euro è stata la piazza che ha raccolto di più grazie alle nuove quotazioni.


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