Coltivare il proprio orticello

by Sergio Segio | 12 Agosto 2011 7:11

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Nel mondo contadino l’orto c’è sempre stato, nei monasteri medievali si coltivava uno spazio con piante medicinali, erbe aromatiche e verdure, e i giardini signorili dal Rinascimento in poi hanno sempre prodotto anche per la cucina. È alla fine dell’Ottocento che nelle città  si creano piccoli appezzamenti per gli operai perché possano avere cibi freschi e salutari. I Kolonilotter svedesi sono perfezionati da Anna Lindhagen che ottiene dal Comune a Stoccolma piccoli lotti che farà  produttivi e belli con la collaborazione di architetti e giardinieri. I primi Kleingarten, terra e capanno per gli attrezzi, nascono nel 1909 a Berlino, dove esistono ancora 76.700 piccoli orti di verdura e frutta, organizzati seguendo regole vincolanti per evitare l’abusivismo edilizio. Nella seconda guerra mondiale gli orti di guerra fecero mangiare americani (Victory Garden) ed europei, poi il declino. C’è il boom economico e si compra al supermercato. In città  e nelle prime comuni di campagna resistono e coltivano i giovani alternativi degli anni Settanta. È con il movimento ambientalista che la tendenza si rinnova negli anni Ottanta ed esplode negli anni Duemila. C’è interesse per il cibo di qualità , saporito e salutare, e il desiderio di riprendere il contatto con la terra e con la manualità , di vivere di più all’aria aperta. È importante anche la scelta per prodotti locali, a chilometro zero, mentre la crisi economica spinge a trovare integrazioni di reddito. Cresce anche il bisogno di rinverdire le città , con giardini, piante spontanee e un’agricoltura urbana che conquista piccoli centri e grandi città  come New York. Si torna a concezioni antiche, alle cinture orticole e a visioni utopistiche, dalle città  giardino del primo Novecento di Ebnezer Howard ai progetti avveniristici di Paolo Soleri. E nel mondo più povero hanno successo nuove strategie basate sulle piccole coltivazioni di sussistenza. In Italia gli amanti dell’orto aumentano. Promuovono orti Slow Food, l’Ecoistituto di Cesena e giardinieri capaci come Pia Pera; orti nelle scuole e mense biologiche. Grandi chef usano i prodotti del proprio orto organico e il giovane cuoco inglese Jamie Oliver spiega sulle tv di mezzo mondo cosa coltivare e come cucinarlo. Susanna Magistretti nel carcere milanese di Bollate ha dato vita a un vivaio dove lavorano i detenuti. Quando Michelle Obama ha voluto un orto biologico alla Casa Bianca, i commenti tipo «roba da radical chic», si sono sprecati con scarsa comprensione del valore sociale e politico dell’atto: un’alimentazione sana e sostanziosa per un popolo afflitto da obesità  e malattie legate alla cattiva alimentazione e al cibo spazzatura, parte della riforma della sanità  nazionale. Si dimentica che l’accesso a un buon cibo, non inquinato e ricco di sostanze nutritive, ben cucinato è importante per mantenere la salute, e garantirlo è uno dei compiti della politica sanitaria di un buon governo. Occuparsi del proprio orto, una delle tante piccole opere, è quindi parte importante del cambiamento culturale e sociale che in molti vogliamo.

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