Esecuzioni sommarie e fosse comuni per le strade di Tripoli città  senza legge

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TRIPOLI – È una lotta senza quartiere quella che si combatte ancora per le strade di Tripoli. A una settimana dalla presa della capitale, la città  è in gran parte “liberata” ma alcune sacche di gheddafiani resistono ad oltranza, rifiutando qualsiasi offerta di resa. Come spesso succede, il crepuscolo di un tiranno porta con sé ferocie inaudite. Nei quartieri già  liberati cresce la paura per le esecuzioni sommarie. Gli spari in aria per festeggiare la rivoluzione sono stati sostituiti da raffiche secche e mirate contro le automobili che paiono sospette. Ai check point che controllano ogni incrocio della capitale i towar, i ribelli, si sono fatti più guardinghi. Alzano ancora due dita in segno di vittoria ma pretendono che gli automobilisti si fermino e aprano il cofano. Nel quartiere di Dhebi, nato negli anni Settanta, ieri hanno riaperto i primi negozi, una gioielleria e un calzolaio, ma pochi giorni fa in quelle stesse strade al mattino sono stati trovati quattro cadaveri. «Uccisi da squadre di civili, più pericolose dei militari – spiega Ibrahim, 50 anni –, fanatici che ammazzano chiunque incontrano». Che la pietà  a Tripoli sia morta lo conferma anche la terribile scoperta fatta ieri dai rivoluzionari del Consiglio nazionale transitorio in un magazzino di una caserma della famigerata 32esima Brigata comandata da Khamis, uno dei figli di Gheddafi: cinquantatré cadaveri, ammassati uno sull’altro, molti civili, e insorti catturati negli scontri per il controllo della capitale. Un’esecuzione di massa. I soldati del raìs prima di lasciare la posizione hanno appiccato il fuoco al magazzino e finito a raffiche di mitragliatore alle spalle chi cercava di salvarsi arrampicandosi sul tetto. I rivoluzionari possono vantarsi di aver completamente conquistato Tripoli ma di certo in città  ci sono ancora zone in mano ai gheddafiani, cecchini appostati sui tetti e squadre della morte a caccia di prede. A Tojoura, uno dei quartieri della capitale, gli abitanti stavano improvvisando una fossa comune per i corpi di ventidue africani, probabilmente mercenari al soldo di Gheddafi.
Nelle aule di una scuola elementare, trasformata in fretta e furia in prigione, ci sono 375 soldati lealisti catturati dagli insorti durante i combattimenti. Aspettano in silenzio di sapere cosa ne sarà  di loro. Alcuni sono appena adolescenti, leggono il Corano o fissano il pavimento, le teste rasate per evitare le pulci.
Dagli schermi di Free Libya si continua a ripetere che la prima emergenza è ora assicurare ordine e sicurezza a Tripoli e al resto del paese con la creazione di un nuovo esercito e di una nuova polizia. Il Consiglio nazionale transitorio sta pensando di chiedere ai paesi arabi di inviare in Libia agenti di polizia che aiutino i ribelli a garantire la protezione della città .
Il fronte vero e proprio di battaglia si sta spostando verso la Sirte. I ribelli ieri giuravano di aver ripreso Bin Jawad. I combattimenti continuano anche sul fronte occidentale. Nelle città  di Jmril e Ajilat, a pochi chilometri dalla frontiera con la Tunisia, sarebbero asserragliati contingenti di soldati del regime, scacciati dalle posizioni sulle montagne e rimasti intrappolate tra il mare, il confine e le zone libere. «Non si possono arrendere – spiega Nasir Nawut, un ribelle – molti getterebbero le armi ma i loro ufficiali sono pronti ad ucciderli in caso di diserzione». Ieri Ras Ajdir, il valico con la frontiera tunisina ancora in mano ai gheddafiani, sarebbe finalmente caduto in mano ai ribelli. Anche la raffineria di Ras Lanuf, sulla costa verso Bengasi, sarebbe stata nuovamente conquistata dai rivoluzionari che negli ultimi giorni l’hanno presa e perduta diverse volte, combattendo metro per metro.
A Tripoli, gli abitanti hanno paura. Alcuni quartieri si stanno organizzando per garantire un minimo di sicurezza. A Dhebi lo hanno fatto ieri dopo la scoperta dei quattro cadaveri e gli appelli della popolazione. «Ci sono troppe armi in circolazione – spiega Ibrahim che con altri compagni ha appena formato un Comitato di salute pubblica – dobbiamo prima di tutte censirle e poi formare delle squadre di sorveglianza che proteggano le nostre case». A Ghiran ci hanno provato ma finora senza successo. «Venerdì qualcuno ha parlato in moschea dopo la preghiera di questa possibilità  – spiegano nel quartiere – ma ci sono ancora troppa paura e diffidenza». In compenso nel rione sono stati disarmati tutti quelli che sono sospettati di simpatie verso il regime morente. «Anche se si tratta di persone che non hanno mai fatto del male è meglio togliere loro le armi – dicono gli insorti – spaventati da eventuali rappresaglie potrebbero mettersi a sparare a casaccio».
C’è poi ancora un problema che però non è poco conto: convincere i ribelli a smetterla con le raffiche sparate in aria per festeggiare la vittoria. «Credo che molti dei feriti che arrivano negli ospedali dicendo di essere stati feriti dai cecchini siano invece vittime dei proiettili di ricaduta – sottolinea Medhi Gana, appena rientrato in Libia dalla Gran Bretagna – bisognerebbe ricordare a quanti sparano in aria che un colpo di ricaduta ha una penetrazione nel corpo umano di almeno quindici centimetri». Bisognerebbe farlo in fretta dato che mancano quattro giorni al primo settembre quando la fine del Ramadan, tradizionalmente festeggiata con sparatorie, coinciderà  con il ricordo della presa del potere di Gheddafi nel 1969. Un momento che a Tripoli tutti aspettano con ansia ma anche con preoccupazione per quello che potrebbe accadere con tutte le armi che circolano in città .


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