Gheddafi, una famiglia in fuga “La moglie e tre figli in Algeria”

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TRIPOLI – Ora è ufficiale il convoglio di sei Mercedes con i vetri oscurati che, sfrecciando da Tripoli, ha attraversato il confine con l’Algeria portava al sicuro la famiglia di Gheddafi. Ieri il governo algerino ha infatti ammesso che Sofia, la moglie del raìs e tre dei suoi figli, Aisha, Mohammed e Hannibal, sono da qualche giorno ad Algeri. Il via libera al transito dei familiari del Colonnello sarebbe stato accordato «per motivi umanitari» perché Aisha, soprannominata la Claudia Schiffer del mondo arabo, avrebbe appena partorito. Quanto a Khamis il figlio di appena 29 anni che, al comando della famigerata 32ma brigata, si sarebbe macchiato nei giorni della liberazione di Tripoli di orrendi massacri, sarebbe stato ucciso dai colpi sparati da un elicottero della Nato. Addirittura sepolto a Zlitan, dicono i ribelli.
Misteriosa resta invece la sorte del Colonnello che secondo il suo portavoce Moussa Ibrahim sarebbe ancora in Libia. Secondo il Consiglio Nazionale Transitorio Gheddafi sarebbe asserragliato con le sue truppe a Bani Walid, a centro chilometri da Tripoli, tra Misurata e Sirte, la sua città  natale. Ed è in quella zona che si sta concentrando lo sforzo dei towar per quella che dovrebbe essere l’ultima battaglia. Anche dopo la liberazione a Tripoli sono in molti ad avere ancora paura. «Temono un ritorno di Gheddafi» spiega Haida Gana, l’insegnante che per la rivoluzione cuce i tricolori di Free Libia. In città  si vocifera di una «quinta colonna» che non sarebbe ancora entrata in azione. «Gente legata al regime, che spera ancora di poter ribaltare la situazione». Gheddafi, al sicuro nel suo ultimo rifugio nonostante la taglia messa sulla sua testa di un milione e 600mila dollari, dal canto suo ha fatto sapere di essere disposto a trattare con i rivoluzionari per un governo di transizione. La risposta del Consiglio Nazionale Transitorio è stata però immediata: «Nessun accordo prima dell’arresto».
L’attenzione si concentra quindi sulla battaglia per Sirte. Annunciata da giorni come uno scontro epocale, forse il più violento di tutta la rivolta libica, è stata più volte rinviata. Il Consiglio nazionale transitorio ha fatto affluire nella zona le sue migliori brigate e le armi più pesanti, gli aerei della Nato anche ieri hanno pesantemente bombardato le postazione gheddafiane, gli specialisti delle Sas inglesi stanno preparando i towar a quello che dovrebbe l’assalto finale. In realtà  accanto a questi febbrili preparativi il Consiglio Nazionale Transitorio ha affiancata un’intensa attività  diplomatica con i capi delle tribù della zona. «Vogliamo evitare un massacro – spiegano i rappresentanti dei rivoluzionari a Tripoli – Sirte non è un villaggio, è una città  densamente popolata, non possiamo rischiare di fare vittime innocenti…».
In compenso si combatte ancora nella zona del confine tunisino, sotto la città  di Zuwara: lì sono rimasti bloccati i contingenti ancora fedeli a Gheddafi dopo essere stati scacciati dalle loro postazioni sulle montagne. «Sono stretti tra il mare, il confine e le nostre brigate ma non vogliono arrendersi, preferiscono lottare sino alla morte» spiegano i towar.
Sempre ieri, infine, parlando in un incontro a Doha, nel Qatar, con i rappresentanti dei Paesi che hanno sostenuto l’insurrezione libica, il leader del Consiglio di Bengasi, Mustafa Abdel Jalil, ha chiesto alla Nato di continuare ad appoggiare il movimento. «Perché – ha spiegato – Gheddafi è ancora una minaccia per la Libia e per il mondo intero».


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