GOLPE D’AGOSTO

by Sergio Segio | 14 Agosto 2011 7:40

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Con quegli strumenti il 10 per cento della ricchezza era già  stato dirottato dal lavoro al capitale, ma oggi sta avvenendo qualcosa di molto più grave. Con un colpo di teatro il potere che viene concentrato nelle mani di pochi, strappando per decreto alle vittime dell’esproprio proprietario i diritti fondamentali, persino quello alla difesa. Un Berlusconi nascosto vilmente dietro l’Europa, un Tremonti grondante sangue altrui, un Sacconi armato dalla Confindustria e garantito dal servizio d’ordine dei sindacati complici, hanno approfittato di una crisi drammatica che porta la loro firma per ridisegnare i rapporti di forza.
Viene stravolta la Costituzione, oltre che per trasformare in totem il pareggio di bilancio, per armare le imprese, liberandole da quelli che chiamano “lacci e lacciuoli” ma in italiano si traducono con democrazia: il permesso di licenziare quando come e chi vogliono cancellando con l’articolo 18 l’intero Statuto dei lavoratori; il permesso di scegliersi i sindacati a cui dare ordini, dopo aver ammutolito i lavoratori; la possibilità  di cancellare il contratto nazionale, sostituito dai contratti aziendali. Vi basta? No, alla Fiat non bastava e allora gli sceriffi di Nottingham truccati da Robin Hood rendono retroattivi questi privilegi di classe per santificare i misfatti di Pomigliano, Mirafiori e Bertone.
Così viene giustiziato chi chiede giustizia e ridotto al silenzio il giudice che dovrebbe garantirla. Ecco dunque che alla ossificazione del welfare e alla svendita dei beni comuni, alle privatizzazioni, allo schiaffo ai dipendenti pubblici e privati, ai giovani, ai precari, ai pensionati, si accompagna la cancellazione per decreto di un secolo di compromessi democratici che avevano garantito forme di equilibrio e tutele nel conflitto capitale-lavoro. Se per l’aggressione economica ai danni dei più deboli il governo si nasconde dietro il liberatorio “ce lo chiede l’Europa”, per giustificare l’aggressione ideologica ai diritti del lavoro chiama in causa le parti sociali: “ce lo hanno chiesto loro” con l’avviso comune, siglato questa volta anche dalla Cgil.
La categoria del tradimento è estranea alla storia di questo giornale, preferiamo apparire ingenui e ammettere di non capire il senso di quell’infelice firma apposta da Susanna Camusso in calce a un accordo che asfaltava la strada alla controrivoluzione reazionaria. Se nella crisi democratica, che fa traballare il futuro del paese più ancora della crisi economica, dovesse affiancarsi la perdita di una rappresentanza sociale alla perdita già  consumata della rappresentanza politica, la risposta del malessere sociale di un paese non pacificato potrebbe manifestarsi in forme spurie, disperate. Basta guardarsi in giro per rendersi conto di come i tumulti abbiano preso il posto della protesta novecentesca, quando c’erano ancora partiti, sindacati e movimenti a dare una prospettiva e una speranza alla società . In Italia c’è ancora un filo rosso, sottile, che può tenerci legati a un’idea forte di democrazia. Non spezziamolo. Una delle tante cose necessarie a non spezzarlo è il ritiro della firma della Cgil da un progetto subalterno e suicida e indire lo sciopero generali.

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