I minatori cileni senza più soldi «Fateci tornare giù nel pozzo»

by Sergio Segio | 1 Agosto 2011 7:48

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RIO DE JANEIRO— Ingrati. Che altro pensare quando si viene a sapere che 31 dei 33 famosi minatori ora vogliono un risarcimento? Chiedono al governo cileno una dozzina di milioni di euro, 340.000 a testa, causa «mancanza di prevenzione» nella miniera San José, crollata proprio un anno fa in questi giorni. Sorvolando — loro e soprattutto i furbi avvocati che hanno messo in piedi l’operazione— sul fatto che per riportarli in superficie venne spesa una cifra ben superiore. Come mai prima nella storia degli incidenti nelle miniere, e forse anche dopo. Sentimenti di indifferenza e pietà  si alternano in Cile alla vigilia dell’anniversario della tragedia (5 agosto) che portò a uno dei più sensazionali salvataggi di tutti i tempi.
Abbastanza ignorata in patria, la vicenda umana de «los 33» , il dopo happy end, colpisce di più all’estero, tra quei media che per due mesi non persero di vista un attimo i tunnel scavati nel deserto di Atacama e le tende dei familiari in attesa. La storia del risarcimento rivela comunque un fatto: ai mineros la vita ha smesso di sorridere poco dopo averla riconquistata, ed è il caso soprattutto di coloro che avevano riposto eccessive speranze nella notorietà . Sono vivi, quasi tutti in buone condizioni di salute. Ma pochi possono definirsi felici. Un’accurata inchiesta del britannico Sunday Telegraph rivela che una metà  di loro sta cercando di tornare a lavorare in una miniera, se già  non lo ha fatto. Qualcuno ha investito con intelligenza i primi soldi guadagnati dopo la salvezza, ma le formichine si contano sulle dita di una mano. I più mediatici hanno messo a frutto le loro buone capacità , ma è un effetto che ovviamente va svanendo. Ex minatore cileno salvato non è una professione disponibile per 33 uomini, con storie, percorsi, età  e sensibilità  diverse.
 I primi mesi di quest’anno furono quelli di viaggi, inviti e comparsate. Da Disney World al Bernabeu per vedere il Real Madrid, dalla Cnn di Atlanta agli studi della Rai, a ballare da Milly Carlucci. E poi conferenze motivazionali e interviste, quasi sempre a pagamento. Edison Peà±a, quello che correva al buio nei cunicoli per darsi forza, un mese dopo la salvezza era già  alla maratona di New York e poi a Memphis, a visitare la terra di Elvis Presley, il suo idolo. Sembrava uno dei più forti, spiritoso e intelligente e con almeno due ruoli nel teatrino dei mineros, il maratoneta e il cantante. Invece Peà±a non se la passa bene. Ha problemi di alcol, in famiglia e ha fatto fuori tutti i soldi nel giro di pochi mesi. «Forse era meglio se fossimo rimasti lì sotto» , ha confessato a una radio cilena. E la moglie Angelica: «Nella miniera c’erano Dio e il diavolo, io credo che Edison se lo sia preso il diavolo» .
Due o tre di loro sono stati diagnosticati con silicosi al polmone, una malattia lunga e incurabile, effetto di anni di lavoro nelle miniere più che per i due mesi in trappola. Solo in pochi, contrariando i consigli medici, hanno accettato di proseguire una cura psicologica. Qualcuno ha ancora incubi e crisi di panico, come è accaduto a José Ojeda non appena ha tentato di riprendere il suo vecchio lavoro sottoterra. Ha desistito dopo appena due ore. Oggi prende sette pastiglie al giorno. Ma c’è anche qualche storia andata bene, come a Osman Araya e Dario Segovia. I due, invece di inseguire sogni, hanno investito l’assegno di un miliardario cileno per mettere in piedi banchetti di frutta e verdura al mercato di Copiapò. La notorietà  l’hanno usata per attirare clienti, oggi soddisfatti e fedeli. Per l’anniversario, che verrà  celebrato sabato alla miniera ormai smantellata, il presidente Sebastian Pià±era ha deciso di consegnare al museo di Copiapò il famoso pezzetto di carta, arrivato in superficie, con il quale i 33 intrappolati fecero sapere di essere vivi. Ojeda ha però protestato: l’ho scritto io quel messaggio, e lo rivoglio.
Pià±era dovrà  stare attento a trovare il tono giusto per le celebrazioni, perché la maledizione di San Josè ha coinvolto anche lui. Molto esposto nelle ore dell’operazione, il leader cileno aveva toccato punte dell’80 per cento di popolarità . Ma da allora non ha fatto che scendere. Il suo governo ha affrontato varie crisi, prima tra tutte la protesta degli studenti, ed è passato attraverso vari rimpasti. Oggi Pià±era ha la fiducia di appena tre cileni su dieci, un livello che gli analisti ritengono il più basso di sempre.

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