I paesi contagiati dalle cattive idee

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E sono l’Europa e l’America che stanno marciando, da sole e affiancate, verso l’epilogo di una maestosa débà¢cle. Lo scoppio di una bolla è stato seguito da imponenti misure di stimolo in stile keynesiano che hanno evitato una recessione più grave, ma hanno anche aperto grossi buchi nei conti degli Stati. La risposta – ingenti tagli alla spesa – garantisce in pratica che la disoccupazione resterà , forse ancora per anni, su livelli inaccettabilmente alti (un enorme spreco di risorse e un sovraccarico di sofferenze).
L’Unione Europea si è finalmente impegnata ad aiutare gli Stati membri in difficoltà  finanziarie. Non aveva scelta: con le turbolenze finanziarie che minacciavano di estendersi da Paesi piccoli come la Grecia e l’Irlanda a Paesi grandi come l’Italia e la Spagna, era sempre più a rischio l’esistenza stessa dell’euro. I leader europei si sono resi conto che il debito dei Paesi in difficoltà  sarebbe diventato ingestibile se l’economia non fosse tornata a crescere, e questa crescita è impossibile senza assistenza.
Ma anche mentre promettevano aiuti imminenti i leader europei hanno continuato ad agire sulla base della convinzione che anche i Paesi non in crisi devono tagliare la spesa pubblica. L’austerity frutto di questi tagli azzopperà  la crescita dell’Europa, e di conseguenza la crescita delle economie europee più in difficoltà : dopo tutto, il miglior aiuto per la Grecia sarebbe una crescita solida dei suoi partner commerciali. La crescita stentata, inoltre, penalizzerà  il gettito fiscale, minando l’obiettivo proclamato di risanare i conti pubblici.
Il dibattito prima della crisi era una chiara dimostrazione di quanto poco sia stato fatto per rattoppare i fondamentali dell’economia. La veemente opposizione della Banca centrale europea a una cosa che è essenziale per qualsiasi economia capitalistica (la ristrutturazione del debito di entità  fallite o in stato di insolvenza) è la prova della persistente fragilità  del sistema bancario occidentale.
La Bce ha sostenuto che i contribuenti si dovevano accollare tutto il peso del debito in sofferenza della Grecia, per timore che un coinvolgimento del settore privato potesse innescare un “evento creditizio” che avrebbe determinato consistenti indennizzi sui Cds e forse alimentato altre turbolenze sui mercati finanziari. Ma se la Bce è veramente preoccupata da questa eventualità , se non sta semplicemente facendo gli interessi dei prestatori privati, sicuramente avrebbe dovuto pretendere dalle banche livelli di capitale più alti.
E avrebbe anche dovuto vietare agli istituti di credito di accedere al rischioso mercato dei Cds, dove le banche sono ostaggio delle decisioni delle agenzie di rating su che cos’è un evento creditizio e cosa non lo è. In effetti, un risultato positivo del recente vertice dei leader europei a Bruxelles è stato quello di avviare un processo che punta a imbrigliare maggiormente la Bce e il potere delle agenzie di rating statunitensi.
L’aspetto più peculiare della posizione della Bce è stata la sua minaccia di non accettare come garanzia titoli di Stato ristrutturati se le agenzie di rating decideranno che la ristrutturazione è da classificare come evento creditizio. Il senso della ristrutturazione è quello di alleggerire il debito e rendere più maneggevole la parte che rimane. Se i titoli erano considerati accettabili come garanzia prima della ristrutturazione, dopo la ristrutturazione diventano sicuramente meno rischiosi, perciò non si capisce per quale motivo non si dovrebbe continuare ad accettarli come garanzia.
Questo episodio serve a ricordare che le Banche centrali sono istituzioni politiche, con un’agenda politica, e che le Banche centrali indipendenti tendono a essere preda (almeno «cognitivamente») delle banche che teoricamente dovrebbero regolamentare.
E le cose non vanno molto meglio dall’altro lato dell’Atlantico. Laggiù l’ultradestra ha minacciato di mandare in bancarotta lo Stato, confermando quello che ipotizza la teoria dei giochi: quando individui irrazionalmente votati a distruggere tutto se non riescono ad averla vinta si scontrano con individui razionali, prevalgono i primi.
Il risultato è stato che il presidente Barack Obama ha accettato una strategia squilibrata per la riduzione del debito, senza aumenti delle tasse, nemmeno per i milionari che tanto bene se la sono passata durante gli ultimi vent’anni, e nemmeno eliminando le regalie fiscali alle compagnie petrolifere, che minano l’efficienza economica e contribuiscono al degrado ambientale.
Gli ottimisti affermano che l’impatto macroeconomico dell’accordo per innalzare il tetto all’indebitamento e impedire il default sarà  limitato sul breve termine, all’incirca 25 miliardi di tagli alle spese per l’anno entrante. Ma la riduzione dell’imposta sul libro paga (che metteva oltre 100 miliardi di dollari nelle tasche dei cittadini americani) non è stata rinnovata e sicuramente le imprese, in previsione degli effetti contrattivi del mancato rinnovo di questa misura, saranno ancora più riluttanti a prestare.
La stessa fine delle misure di stimolo produce effetti contrattivi. E con il prezzo delle case che continua a calare, la crescita che arranca e la disoccupazione che rimane ostinatamente alta (un americano in cerca di lavoro su sei non riesce a trovare un impiego a tempo pieno), quello che serve – anche per riportare in ordine i conti pubblici – sono altri stimoli di bilancio, non l’austerity. Il fattore che più concorre a far lievitare il deficit è il calo del gettito fiscale provocato dal cattivo andamento dell’economia: il rimedio migliore sarebbe tornare a far crescere l’occupazione. Il recente accordo sul debito è una mossa nella direzione sbagliata.
Ci sono molti timori sul contagio finanziario tra Europa e America. D’altronde la cattiva gestione della finanza in America è stata una delle principali cause scatenanti dei problemi dell’Europa, e le turbolenze finanziarie sul vecchio continente non sono un bene per gli Stati Uniti, specialmente se si considera la fragilità  del sistema bancario Usa e il ruolo che continua a giocare in uno strumento finanziario non trasparente come i Cds.
Ma il vero problema viene da un’altra forma di contagio. Le cattive idee non si fanno fermare dai confini nazionali e le teorie economiche sbagliate si alimentano a vicenda dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico. Così come la stagnazione che queste politiche si porteranno dietro.
© Project Syndicate, 2011. www. project-syndicate. org
(Traduzione di Fabio Galimberti)


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