Il colpo ai big europei del credito: SocGen brucia il 20% in un giorno

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MILANO — La tempesta delle Borse si è spostata sulle banche europee, da Parigi a Londra a Milano, bruciando in totale 174 miliardi di capitalizzazione, in contemporanea con le voci più allarmistiche su un possibile declassamento del rating della Francia (attualmente tripla A, cioè il massimo della affidabilità ) e di gravi difficoltà  di uno degli istituti più grandi d’Oltralpe, Société Générale (SocGen). A questo si devono aggiungere i timori per un ritorno in recessione dell’economia, sulla base delle indicazioni negative arrivate martedì sera dalla Federal Reserve americana. La somma di questi fattori ieri è stata micidiale. SocGen ha perso il 14,7%, Crédit Agricole l’11,8%, Bnp Paribas il 9,4%, la spagnola Santander l’8%, l’inglese Barclay’s l’8,7%, le italiane Intesa Sanpaolo il 13,7%, UniCredit il 9,3%, Mps il 9,7%, trascinando a terra le rispettive borse. Milano ha perso oltre il 6,6%, pari a 21 miliardi di euro di capitalizzazione: oggi tutto il listino di Piazza Affari vale circa 330 miliardi, vicino ai minimi del 2009, con un calo del 35% negli ultimi sei mesi. Parigi ha chiuso in calo del 5,45%, Madrid del 5,4%, Londra del 3%. In una giornata cominciata in negativo, si è aggiunto anche la seduta in calo di Wall Street a imprimere un’ulteriore spinta al ribasso: in serata il Dow Jones è arrivato a perdere il 4,63% e il Nasdaq il 4,09%.
I mercati sono stati schiacciati fin dal mattino da massicci ordini di vendita, raccontano trader e gestori, ai quali non sono corrisposti analoghi volumi di acquisti: da qui il crollo ancora più fragoroso dei titoli, nonostante che tutte e tre le agenzie di rating Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch abbiano smentito nel corso della giornata ogni indiscrezione su una bocciatura della Francia. Anche il summit all’Eliseo del presidente Nicolas Sarkozy con i ministri-chiave del governo per decidere interventi d’emergenza è stato utilizzato per soffiare sul fuoco della speculazione: a un certo punto, racconta un operatore, si era sparsa la voce che anche i vertici di SocGen partecipassero alla riunione perché in gravi problemi di liquidità . Nonostante le smentite di ogni rumor da parte della banca guidata da Frédéric Oudéa e la richiesta alla Consob francese (la Amf) di aprire un’indagine «sull’origine di questi rumors» la perdita per l’istituto è arrivata anche a toccare il 21%. E le banche francesi si sono accodate, anche perché viste deboli in quanto fra le più esposte ai titoli del debito pubblico italiano, circa 350 miliardi. Tutto ciò nonostante la rete di protezione tesa dalla Banca centrale europea, che ha continuato anche ieri ad acquistare sul mercato il debito di Italia e Spagna. «In una situazione in cui si comincia a puntare il faro sui fondamentali della Francia, questo ha effetti anche sulla percezione della tenuta del suo sistema bancario, anche per l’atteggiamento più lassista della banca centrale, rispetto ai rigore adottato per esempio dalla Banca d’Italia nei confronti degli istituti nazionali», è la lettura di Stefano Andreani, responsabile azionario di Crédit Suisse Italia.
Anche le banche italiane sono state contagiate nel crollo, in particolare Intesa Sanpaolo, sulla quale si è abbattuta un’ondata di vendite con volumi superiori al 50% rispetto alla media degli ultimi tre mesi. Ma tutti i titoli bancari sono stati penalizzati, tanto da subire durante la seduta anche sospensioni per eccesso di ribasso: è il caso di UniCredit, Intesa Sanpaolo e Ubi. Il gruppo di Piazza Cordusio è arrivato a rompere la soglia di 1 euro, livello che non toccava dall’aprile del 2009. Ieri ha chiuso a 0,96 euro. «Il calo degli istituti italiani potrebbe dipendere dalle speculazioni su un possibile abbassamento dei tassi da parte della Bce», continua Andreani, «mentre i loro piani industriali sono costruiti sulle attese di un rialzo dei tassi, sulla base degli scenari validi ancora pochi mesi fa. La profittabilità  delle banche è molto legata al livello dei tassi della Bce». E se a questo si aggiungono i fattori macroeconomici, con i timori di una discesa delle economie in zona recessiva, lo scenario appare parecchio negativo. Perché se l’economia non tira, gli utili delle banche evaporano e i loro patrimoni ne risentono. I mercati tutto questo lo sanno e lo scontano fin da subito.
Come valore di Borsa, nelle ultime settimane a Piazza Affari sono stati bruciati i 10 miliardi raccolti con gli aumenti di capitale di Intesa Sanpaolo (5 miliardi), Montepaschi e Banco Popolare (2 miliardi ciascuno) e Ubi Banca (1 miliardo), portando la capitalizzazione delle prime sei banche quotate a 55 miliardi, praticamente quanto la sola spagnola Santander. E questo inevitabilmente riporta all’attenzione il tema della «scalabilità » delle banche italiane, cui fa argine lo scudo alzato dalla Banca d’Italia che deve autorizzare ogni acquisto di quote oltre il 10%, o comunque rilevanti in un istituto italiano. Non ci sarebbero state comunque operazioni massicce di vendite allo scoperto, quelle che di solito sono causa del crollo dei listini. La Consob, che ha avviato il monitoraggio di queste operazioni al ribasso insieme con l’autorità  europea di controllo sui mercati, l’Esma, ha fatto sapere che fino a ieri sono state contenute entro «limiti fisiologici».


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