Il Pd cerca il compromesso per cambiare l’articolo 8

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ROMA — Il primo segnale lo ha dato ieri Pier Luigi Bersani, al meeting di Rimini, dopo aver parlato una decina di minuti con il ministro dell’Economia: «Tremonti è abbastanza aperto sull’articolo 8 del decreto». I due non si amano, il colloquio è stato peraltro smentito in serata, ma il governo ha capito che su quella norma si rischia uno scontro duro e, da parte sua, il segretario del Partito democratico ha tutto l’interesse a disinnescare una bomba — quella dello sciopero generale indetto dalla Cgil per il 6 settembre — che gli è scoppiata in casa, dove si moltiplicano i malumori di chi non vuole appiattirsi sulla linea Camusso.
Ma sono altri i contatti e le trattative che potrebbero portare a una soluzione del problema. È un’apparentemente strana triangolazione che vede protagonista il responsabile Welfare del Pd Beppe Fioroni, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il ministro Maurizio Sacconi. Con una probabile sponda importante, quella della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Ormai non è più un mistero per nessuno che Bonanni, Fioroni e Sacconi si sentano con una certa frequenza e ricerchino dei punti comuni per un possibile confronto. E non per traghettare la Cisl e gli ex ppi del Partito democratico nel centrodestra, come pure è stato scritto. Piuttosto perché la parte moderata del Pd ritiene che con lo scontro continuo non si vada da nessuna parte.
Dunque ieri è partito l’ennesimo giro di telefonate. Dopodiché Fioroni, parlando con alcuni compagni di partito, ha spiegato i termini della trattativa in corso e ha illustrato questa proposta: «L’articolo 8 può essere migliorato e modificato nello spirito dell’accordo del 28 giugno senza pregiudizi evidenziando tre linee guida. Primo, la deroga allo Statuto dei lavoratori o la delegificazione può essere attuata solo in casi di eccezionale gravità , quando l’azienda rischia di chiudere: in questo caso in sede decentrata le parti sociali verificano le diverse possibilità . Secondo, per evitare soluzioni opportunistiche o di comodo è importante che le rappresentanze sindacali in sede decentrata siano quelle maggiormente rappresentative a livello nazionale. Terzo: in ogni caso se non c’è accordo tra le parti sociali decidono i lavoratori interessati».
Questi tre punti sono attualmente all’esame del Partito democratico, che ha come obiettivo primario quello di riuscire a modificare l’articolo 8 già  a Palazzo Madama. «La Cgil — ripeteva ancora l’altro ieri il senatore Enrico Morando — potrebbe aspettare di vedere se in Parlamento riusciamo a cambiare la situazione. Noi ce la stiamo mettendo tutta».
La Cisl ha già  aperto uno spiraglio su questo terreno di confronto e lo stesso Sacconi, pur non condividendo tutti e tre i punti della proposta, si è mostrato interessato alla parte riguardante le rappresentanze sindacali. È ancora presto per dire se nei pochi giorni che mancano all’appuntamento in Senato ci sia la possibilità  di trovare un compromesso. Gran parte del Pd e la Cisl di Bonanni stanno alacremente lavorando in questo senso. E il segretario Bersani è altrettanto impegnato su questo fronte.
Dalla Cgil non giunge ancora nessuna apertura concreta, ma anche in quella sede sono chiari i rischi che comporta l’ennesima rottura dell’unità  sindacale. Una Cgil ancora una volta isolata, con un Partito democratico non più schierato unanimemente al suo fianco, rischia di diventare un sindacato debole, non in grado di giocare tutte le sue carte al tavolo di questa trattativa e delle prossime che verranno.


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