Il permesso non c’è, rivolta a Bari

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 La protesta che ieri a Bari ha visto gli «ospiti» del Cara (centro accoglienza richiedenti asilo) occupare prima i binari ferroviari e poi la tangenziale per ottenere lo status di rifugiati, che finora il governo italiano nega loro, ha lasciato sul campo molti feriti tra i migranti e una trentina tra le forze di polizia intervenute per rimuovere il blocco. Sono stati attimi concitati. In trecento circa i migranti del Cara (nella struttura sono 750 e tra loro ci sono un centinaio tra donne e bambini, in attesa di asilo da sei, sette mesi), per lo più provenienti dal Corno d’Africa e dalla Libia, hanno occupato la tangenziale, da nord a sud, per qualche ora. Traffico paralizzato e momenti di tensione tra conducenti e manifestanti, allora sono arrivati i poliziotti. «Almeno un centinaio quelli che siamo riusciti a vedere, perché erano a gruppi», precisa Chouaib Chtiwi, responsabile sportello Rdb cub per i migranti a Bari, «hanno sparato tanti, ma tanti di quei lacrimogeni che non puoi averne idea …». Chouaib, che era lì, riferisce che «i manifestanti erano in maggioranza pacifici, molti di loro avevano le mani alzate quando è arrivata la polizia. Loro sono rimasti lì, e si è arrivati allo scontro».

Uno scontro duro, con lanci di pietre da parte di qualche manifestante e feriti sul campo, tra loro e le forze di polizia. C’è chi dice di 35 feriti tra i poliziotti e una quindicina tra i manifestanti. «Tra i migranti sono stati molti di più. Ne abbiamo visti tantissimi con ferite gravi. Col mento spaccato, con la testa bucata dalle manganellate». Chouaib e don Angelo Cassano hanno tentato una mediazione con la polizia per fare arrivare qualche ambulanza per soccorrere i feriti. E così è stato. Dopo un po’ qualche ambulanza è arrivata. I migranti feriti sarebbero stati medicati, ma le cure sarebbero state prestate all’interno del Cara. Poco dopo le 14 ha fatto ingresso al Cara l’ultimo blocco di manifestanti, una cinquantina circa. «La cosa si è sbloccata in vista della trattativa che si aprirà  mercoledì in prefettura col sottosegretario Mantovano. Loro sperano che si risolva la questione, sono disperati», dice ancora Chouaib. Alcuni migranti sono stati arrestati. «Il numero preciso non lo conosciamo. Di certo ne abbiamo visti sette, ma dal centro ci fanno sapere che, quando hanno portato i feriti con le ambulanze, nella confusione, ce ne sono stati altri. Tra loro alcuni afghani, che non avevano neppure partecipato alle occupazioni della mattinata».
La protesta che ieri ha infuocato Bari è l’epilogo di una serie di azioni fin qui messe in campo dai richiedenti asilo ospitati al Cara per ottenere lo status di rifugiati. L’ondata di malcontento si è sollevata i primi di giugno, quando hanno bloccato due volte i binari. Ha avuto un’impennata il 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, quando in gruppo sono andati sotto la Regione Puglia a chiedere aiuto. «Perché – spiega Chouaib – non trovano normale che pur arrivando dalla Libia la Commissione non lo riconosca». A Khaled, ad esempio, un ragazzo nato in Mali ed emigrato in Libia, lo status di rifugiato è stato negato. Come a tanti altri con storie analoghe. Lui davanti alla Commissione che obiettava che «il Mali non è un paese in guerra», ha insistito: «Io da tanti anni vivo in Libia. In Libia avevo un lavoro, ho la famiglia. Sono stato costretto a fuggire quando hanno bombardato. Per questo l’unica fuga per me era verso l’Italia». Il 25 luglio i migranti del Cara sono tornati in piazza. «Una grandissima manifestazione», continua Chouaib, «molto civile. Con l’incontro col viceprefetto che si è impegnato a portare la questione a livello nazionale, ma non si è visto niente. Solo altri dinieghi». Neanche un presidio sotto la sede della commissione per richiedenti asilo ha sbloccato la situazione.
L’attesa nel Cara, scrive la Rete antirazzista, significa mesi di degrado terribile, senza doccia, con un solo pasto al giorno, isolamento dalla città , in una struttura militarizzata che sorge all’interno di una base dell’Aeronautica. Per molti, dopo la penosa attesa, arriva il diniego dello status di rifugiati, che significa la condanna definitiva al ritorno nell’inferno da cui sono fuggiti.


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