Inedito asse sinistra-mercati contro i tagli subiti da Obama

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NEW YORK. Ingrata Wall Street. Barack Obama ha scongiurato “un default inaudito” e i mercati reagiscono con un ingeneroso ribasso.
Lunedì 2 agosto poteva essere la data dell’Armageddon finanziario in caso di cessazione dei pagamenti da parte del Tesoro Usa. E’ invece la giornata in cui Wall Street scopre un’inedita convergenza con l’opinione progressista, si allinea con il premio Nobel dell’economia Paul Krugman che fustiga «una manovra dannosa per l’economia già  depressa». Coincidenza crudele: nel giorno in cui Obama ha dovuto “vendere” l’accordo taglia-deficit ai furibondi parlamentari democratici, è un segnale dall’economia reale ad avere gelato i mercati. L’indice della produzione industriale è ai minimi, conferma che l’America è in una fase di stallo, a un passo dalla ricaduta nella recessione.
I potentati finanziari di Wall Street, dei quali si temeva tanto la reazione in caso di default, si sono già  scordati il debito e guardano altrove. «Stai attento a esprimere un desiderio: potrebbe realizzarsi». Questo detto risuonava ieri, quando i mercati hanno visto materializzarsi l’accordo che vara l’Era della Grande Austerità . Sotto la pressione politica esercitata dalla destra anti-Stato del Tea Party, sotto la pressione demografica del pensionamento per le prime coorti popolose dei baby-boomer, sotto la pressione finanziaria di un debito estero che dà  forza a tutti i rivali strategici (Cina, Russia, India, Brasile, Arabia), l’America rovescia il segno della politica economica che aveva adottato durante la recessione del 2008-2009.
Dalle manovre di sostegno alla crescita passa a drastici tagli di spesa. E’ quel che auspicava fino all’altro ieri la “saggezza convenzionale” dei mercati finanziari, che ora vacilla in preda al dubbio. E’ davvero sensato infliggere una terapia del rigore con tagli di spese per almeno 2.100 miliardi, quando la crescita è già  rallentata sotto l’1% nel primo trimestre? Più che i timori di un colpo di scena politico – le defezioni delle ali estreme al momento della conta dei voti alla Camera – è questo grande dubbio che ha guastato il capolavoro tattico di Obama. La scure impugnata a Washington sarà  vista come un errore storico, la ripetizione del famigerato 1937? Fu lo stesso Obama, quando ancora era nel pieno vigore della sua politica progressista due anni fa, a ricordare che nel 1937 Franklin Roosevelt interruppe prematuramente l’esperimento del New Deal, cercò di risanare il bilancio pubblico anzitempo, col risultato di una ricaduta nella Grande Depressione. Oggi quel raffronto gli viene rinfacciato. L’editoriale del New York Times dà  voce all’indignazione della sinistra: «Un accordo terribile, una capitolazione completa verso quegli estremisti di destra che praticano il ricatto».
Pesa la mancanza di ogni perequazione fiscale, dopo decenni di allargamento delle diseguaglianze. L’accordo sul debito che ha evitato l’Armageddon finanziaria è un’altra ferita nel rapporto sempre più conflittuale tra Obama e l’ala progressista. Da Guantanamo all’Afghanistan, dai primi due accordi bipartisan su fisco e spesa pubblica (dicembre e marzo) fino a questo sul debito, la sinistra vede un progressivo spostamento al centro del presidente. E’ obbligatorio per vincere nel 2012, ribattono i suoi strateghi David Plouffe e David Axelrod, perché le presidenziali del 2012 si giocano tutte sul voto moderato. Danno per scontato che la sinistra più progressista, dai giovani ai neri, correrà  comunque a votare Obama pur di evitare il peggio. Leggendo i dettagli dell’accordo, “capitolazione” è un termine eccessivo. Obama ha ottenuto che i tagli effettivi scattino solo nel 2013. Quindi in una prima fase c’è solo l’effetto-annuncio, importante per rassicurare i mercati ed evitare un rincaro del costo del denaro. In una seconda fase scatteranno le riduzioni di spesa, dopo le presidenziali, e si spera con una ripresa rinvigorita. Se poi oltre a rieleggere Obama gli americani dovessero ridimensionare la destra al Congresso, anche il segno della manovra economica potrà  cambiare. Altro particolare rincuorante: il presidente ha caricato oltre 850 miliardi di tagli di spesa sul bilancio militare, il “vitello sacro” dei repubblicani. Si conferma però un’egemonia culturale conservatrice sul terreno economico, una costante da Ronald Reagan in poi. Come Bill Clinton nel 1995-96, anche Obama è costretto ad accettare il dogma della destra: il Welfare è un ostacolo alla crescita. Dimagrire lo Stato è l’obiettivo strategico dei neoconservatori che lo perseguono con coerenza da più di trent’anni, mentre i democratici giocano una battaglia sempre in difesa.


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