La crisi stringe le giovani famiglie

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ROMA — Sono le difficoltà  dei trentenni a trovare lavoro, a mettere da parte un po’ di soldi e a trovare casa, in sostanza a costruire una famiglia che possa resistere agli alti e bassi, il segno più evidente della crisi. Solo 3 giovani famiglie su 10 riescono ad accumulare qualche risparmio, il 58% — dice un’indagine di Censis e Unipol — spende tutto il proprio reddito mensile, e il 5% è costretto a indebitarsi. Il 28,6% dei capofamiglia fino a 35 anni indica di essere riuscito a mettere da parte qualcosa, e il 22% possiede solo la casa dove abita. E a proposito di condizioni abitative, oltre il 40% delle famiglie giovani vive in una casa in affitto. Segno delle difficoltà  di una generazione, perché se la cavano meglio i quarantenni e i cinquantenni: «Il 38% riesce a risparmiare», mentre in media la prima casa è una sicurezza per il 40% delle famiglie. Le più giovani sono quelle che in numero maggiore spendono tutto il loro reddito mensile (il 58,4% contro la media del 52,5%) e che sono costrette a indebitarsi (il 5% contro la media del 3,7%).
A fare il paio con questi dati che parlano di un’economia in sofferenza, «l’emorragia» di posti di lavoro. Nel 2011, secondo Unioncamere, la bilancia tra quelli creati e quelli che invece vanno in fumo pende ancora verso i secondi: il risultato è 88 mila posti di lavori in meno, con un calo dell’occupazione dipendente dello 0,7%, ancora in perdita dopo il meno 1,5% del 2010 e il meno 2%, con 213 mila posti di lavoro persi nel 2009, anno nero della crisi. E le previsioni da qui alla fine dell’anno non lasciano sperare in meglio: «L’industria va verso un autunno incerto, sono fermi commercio e servizi». Questa la sintesi dell’indagine congiunturale dell’Unione delle Camere di Commercio. «Anche a causa dell’accresciuta incertezza sull’intensità  della ripresa internazionale e le forti tensioni sul debito nella seconda metà  dell’anno», deduce: «L’inversione di tendenza non sembra essere alle porte soprattutto per il settore industriale».
Nel 2011 — prevede il centro studi — ci saranno quasi 44 mila ingressi nel mondo del lavoro in più rispetto al 2010, ma saranno comunque inferiori alle uscite. Va male il manifatturiero, ma soprattutto le costruzioni (calo degli occupati del 2,5%). Nel totale i due settori avranno a fine anno una perdita stimata in quasi 59 mila unità  (-1,2%). I servizi dovrebbero fermarsi a quota meno 29 mila posti (-0,4%). Quelli che più risentiranno del calo di occupazione sono alberghi, ristoranti e servizi turistici, con flessioni dell’1%, mentre nel commercio i livelli occupazionali sono stazionari(-0,2%), ma nel settore si registra un -1,5% delle vendite nel secondo trimestre dell’anno.
Se si è piccoli si soffre di più: saranno, infatti, 41 mila i posti in meno nelle imprese fino a 9 dipendenti, dato che — si spiega — conferma la tendenza dello scorso anno. In confronto le imprese con oltre 250 dipendenti perderanno 7.600 posti.
E se il Centro-Nord piano piano rialza la testa, il Sud «appare ancora in grande affanno». Il Nord-Ovest, infatti, ha in programma una contrazione di oltre 19 mila posti di lavoro (-0,5%), il Nord-Est di 10.600 (-0,4%), il Centro di 16.600 (-0,7%). Al Sud, al contrario, i posti di lavoro in meno dovrebbero essere oltre 41 mila (-1,6 %). A provocare queste ulteriori difficoltà  del mercato del lavoro nel Meridione sono soprattutto le previsioni negative delle piccole e piccolissime imprese dell’area (ovvero quelle con meno di 50 dipendenti), il cui saldo a fine anno dovrebbe superare le 28 mila unità  in meno.
In questo quadro fosco c’è anche un dato positivo: nei servizi avanzati le imprese prevedono di aumentare di circa 1.500 unità  i propri dipendenti, con un tasso di crescita, quindi, dello 0,4%.


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