La partita di Francoforte contro la speculazione

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Non è un lieto fine. Al meglio, è l’inizio di un percorso completamente diverso. Anche se davvero avessero luogo da questa mattina, come tutto lascia pensare, gli interventi della Bce lasciano infatti aperte enormi incognite per gli stessi banchieri centrali europei. L’istituto di emissione dell’euro è entrato infatti da ieri in una dimensione alla quale non avrebbe neppure voluto avvicinarsi.
 È un mondo impensabile fino a poco tempo fa, nel quale i rischi tecnici di esecuzione del sostegno all’Italia sono inferiori solo a quelli politici. Proprio le modalità  degli interventi, con l’acquisto massiccio di Btp italiani e Bonos spagnoli con ogni probabilità  da questa mattina, deve aver impegnato a lungo il consiglio dei governatori della Bce. I diciassette banchieri nazionali e i sei del board dell’Eurotower, guidato da Jean-Claude Trichet, sono di fronte a un problema nuovo. Quando hanno deciso di intervenire per la Grecia, l’Irlanda o il Portogallo, pochi miliardi delle sue vaste riserve sono bastati a far risalire i prezzi. Si trattava di economie piccole, per le quali la Bce in oltre un anno ha speso meno di 80 miliardi di euro.
Da stamattina la Spagna e l’Italia, ma specie quest’ultima, sono problemi su una scala completamente diversa. Solo per risollevare visibilmente i prezzi dei Btp potrebbe servire, ad oggi, un’azione da circa 20 o 30 miliardi di euro. Per i Bonos di Madrid circa 10 o 15. Ma la questione non sarebbe chiusa lì: se il mercato dovesse ritenere che la Bce non proseguirà  a lungo gli acquisti sulla carta italiana, molti potrebbero volersene liberare subito presentandoli alla banca centrale. Quest’ultima rischierebbe di trovarsi sommersa da un’ondata di richieste di venderle Btp, in un’operazione che potrebbe diventare molto onerosa: ben sopra i 30 miliardi di euro.
Di qui la lunga preparazione tecnica della scelta annunciata dopo le 10 di ieri sera. Molto dipenderà  dalla determinazione della Bce a sostenere l’Italia e dalla credibilità  della svolta di ieri sera. E questo è un punto che molti nelle banche d’affari e nei fondi d’investimento stanno studiando da vicino in queste ore. Salvo improbabilissime sorprese, neanche la decisione di ieri per la Spagna e per l’Italia è stata unanime. In termini istituzionali, ciò è indifferente: il consiglio dei governatori della Bce può decidere a colpi di maggioranze semplici perché è un organo pienamente federale come il board della Federal Reserve americana.
Ma in termini politici, non è indifferente che nella sede di governo della banca dell’euro l’esponente tedesco si opponga sempre (in minoranza) a una scelta così rilevante: Jens Weidmann della Bundesbank, come il suo predecessore Axel Weber, non vuole che finisca sul bilancio comune della Bce il rischio dei titoli dei Paesi ad alto debito messi sotto scacco sui mercati. Ma la Germania e la Bundesbank sono i partner che garantiscono la parte più importante della forza dell’euro e della Bce. E di recente ci sono stati segnali che anche il governatore olandese Klaas Knot e Jà¼rgen Stark, il tedesco che siede nel board di Trichet, si sono opposti agli acquisti di bond per gli stessi motivi.
La Bce non conferma né smentisce mai le voci sui dissensi interni. Ma se il suo organo di decisione iniziasse davvero a dividersi su linee che riflettono la spaccatura fra i governi nell’Eurogruppo, con Germania e Olanda intransigenti e gli altri più accomodanti, anche la credibilità  del piano per l’Italia potrebbe risentirne. Da organo indipendente, una Bce divisa con la Bundesbank in stabile minoranza diventerebbe sempre più un organo visto come politico: il contrario di ciò che serve per dare fiducia ai mercati. È anche per questo che la dichiarazione della Bce di ieri sera ammette di «tener conto» del parere positivo della cancelliera Angela Merkel sulla nuova manovra italiana. E quest’ultima ha lasciato filtrare che è d’accordo con gli interventi massicci a favore di Roma.
 La banca centrale sente di dover mostrare che non agisce senza e contro la Germania. Ma proprio nel farlo, tradisce la natura sempre più politica del confronto che avviene al suo interno. Non è troppo tardi per rientrare nei binari, ma non era questo il progetto dei fondatori dell’euro.


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