La recessione peggiore

by Sergio Segio | 11 Agosto 2011 7:29

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E sicuramente anche tutte le altre borse mondiali seguiteranno a perdere. Qualcuno ha scritto che l’andamento attuale delle borse assomiglia al movimento dello yo-yo. Vero: ma la risalita è sempre minore della discesa e le quotazioni dei titoli seguitano a calare. Questa volta, tuttavia, la crisi non affonda nel disordine monetario e negli imbrogli delle banche, come nel 2008, ma nella situazione disordinata dell’economia reale. Anche se il mondo paga ancora il conto – salato – di quel disordine.
Se non la certezza, c’è l’aspettativa di una nuova recessione. Se arriverà  sarà  peggiore di quella appena alle spalle, sostengono molti economisti. E questo perché gli Stati non hanno più cartucce: sono state sparate per cercare di sopravvivere alla crisi passata. Si è trattato di aiuti giganteschi al sistema finanziario per non farlo crollare. Operazione riuscita, ma le casse sono state svuotate. Di più: l’economia reale degli aiuti stanziati ha ricevuto solo le briciole. Il risultato è stata una gigantesca redistribuzione dei redditi che ha peggiorato la situazione economica e le prospettive di decine di milioni di persone. Alle quali, ora, viene chiesto di pagare il conto.
Nei guai sono quasi la metà  dei paesi dell’euro; nei guai è Obama che dovrà  tagliare la spesa sociale. Nei guai, se l’economia globale ricadrà  in recessione o rallenterà  corposamente, finiranno anche la Germania e la Cina che, come il Giappone, vedranno le esportazioni crollare. Larga parte della popolazione mondiale starà  ancora peggio e vedrà  i ricchi arricchirsi sempre di più, perché l’attuale tendenza delle politiche economiche mondiali è fortemente classista.
Basta guardare ai provvedimenti programmati e presentati – senza vergogna – alle parti sociali dal governo Berlusconi. Ma anche alla politica degli Stati uniti, della Bce e a quella dell’Unione europea e monetaria. Stiamo parlando di un modello unico di società  nella quale alla flessibilità  del lavoro si cerca di accompagnare uno Stato sottile, perché al profitto devono essere lasciate praterie immense. E si vuole privatizzare soprattutto dove il pubblico va bene. Ieri Mediobanca ci ha detto che i profitti delle imprese pubbliche nel 2010 sono andati a gonfie vele, mentre i privati arrancano. Una buona occasione – con l’alibi del debito pubblico – per privatizzare.
La stessa indagine di Mediobanca – a proposito dell’incapacità  dell’imprenditoria italiana – afferma che gli investimenti italiani all’estero si rivolgono a paesi a basso costo del lavoro per produrre merci a basso valore aggiunto destinate ai paesi emergenti e non a quelli industrializzati. Come possano i sindacati allearsi con questi «padroni» non è dato capire. «Per il bene dell’Italia», dicono in molti. Forse, ma non per il bene degli italiani.

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