Le incognite del dopo Gheddafi Chi governerà  al suo posto?

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 L’«era di Muammar Gheddafi è finita», ha detto ieri Mustafa Abdel Jalil, aggiungendo a questa constatazione un avvertimento: il futuro «non sarà  rose e fiori».

Ex ministro della giustizia di Muammar Gheddafi, transfugo già  nelle prime ore del gheddafismo in favore della rivolta del 17 febbraio di Bengasi e promosso rapidamente capo del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), Jalil ha espresso ieri in modo chiaro le preoccupazioni che da tempo animano tutti gli osservatori e gli attori in campo – in primis i diplomatici di quei paesi che hanno appoggiato l’avanzata dei ribelli. Cosa sarà  della Libia nel post-Gheddafi? Chi riuscirà  a governare un paese che per 42 anni – o almeno dal 1977, quando il rais ha instaurato la Jamahiriya, il cosiddetto «stato delle masse», consegnando teoricamente il potere al popolo, di fatto a se stesso – è stato gestito da un uomo solo? E soprattutto, domanda a cui finora non è riuscito a rispondere nessuno in modo esaustivo, che cos’è il Cnt e chi lo comanda davvero?
Nei cinque mesi in cui ha di fatto amministrato la «Cirenaica liberata», il Cnt non è riuscito a esprimere un leader nazionale, o un’idea forte su cui raggruppare tutta la Libia. I suoi responsabili – a cominciare dallo stesso Jalil, passando per il primo ministro incaricato Mahmoud Jibril, o per l’ex «ministro delle finanze» Ali Tarhouni – hanno sempre detto che il futuro della Libia è quello di un «paese unico, indivisibile e democratico».
Ma il fatto è che il Cnt è un organismo eterogeneo, la cui stessa composizione non mai stata del tutto chiara. Composto da ex gheddafiani, da avvocati per i diritti umani come il vice-presidente Abdul Hafiz Ghoga, da alcuni esuli tornati in patria, il Cnt non ha mai avuto una forma ben definita. Ai giornalisti che a Bengasi chiedevano lumi in proposito ai vari portavoce che si affollavano al Palazzo del tribunale o nel vicino media center, si diceva che i membri del consiglio erano 31, salvo poi svelare il nome solo di 13 di loro, «per ragioni di sicurezza».
Sotto a questo Cnt dai contorni poco chiari, ne comparivano poi altri «locali», costituiti a loro volta da vari notabili e personaggi di vario tipo, in una struttura di potere che ricordava i comitati popolari instaurati da Gheddafi nella architettura bislacca del suo «stato delle masse».
Proprio per sfatare questo equivoco, e per darsi una forma di organizzazione più vicina alle democrazie liberali cui dichiaravano di ispirarsi, i membri del Cnt hanno annunciato nel corso di una conferenza stampa all’hotel Tibesti di Bengasi verso la fine di marzo che avevano costituito un «organo esecutivo». Un governo ristretto di otto persone che doveva occuparsi degli affari correnti: tra loro, la maggioranza era costituita da persone che non avevano mai o quasi mai collaborato con il regime, a cominciare dal premier Mahmoud Jibril, che solo per un breve periodo aveva presieduto uno dei vari organi riformatori messo in piedi da Seif el Islam Gheddafi nel tentativo di riformare lo stato.
Ma il governo non ha mai di fatto governato: la sua creazione ha creato ulteriori sovrapposizioni di incarichi e ha aggiunto caos al caos. La mancanza di una struttura di società  civile organizzata e la totale inesperienza in campo politico erano avanzati off the records da molti portavoce per giustificare la scarsa capacità  di azione dei leader politici o di quanti aspiravano a diventare tali.
Nonostante ciò, e grazie anche ai solidi appoggi che si sono garantiti a livello internazionale, i membri del Cnt sono riusciti in un compito che a tratti sembrava impossibile: tenere insieme la coalizione eteroclita dei ribelli, costituita da giovani studenti volenterosi, qualche cellula di gruppi islamisti repressi in passato da Gheddafi, ex gerarchi del regime passati dall’altra parte. Ci sono riusciti anche nei momenti più critici, come il 28 luglio, quando il capo militare (nonché ex ministro degli interni di Gheddafi) Abdelfattah Younis è stato ucciso in circostanze poco chiare sulla strada che da Marsa el Brega porta a Bengasi, dopo essere stato richiamato dal Cnt per rispondere alle accuse di una sua eventuale collaborazione con il regime. Ebbene, l’assassinio di Younis non ha provocato quella resa dei conti tra i vari gruppi e le varie tribù che molti si aspettavano. Come concessione alla famiglia e alla tribù di Younis, Jalil ha sciolto il governo incaricando Jibril di formarne un altro, che però non ha mai visto la luce.
In questa grande approssimazione, in questo contesto in cui spesso non si capisce chi gestisce cosa, questo aspetto va sottolineato: il Cnt è riuscito a reggere e a tenere insieme nel bene e nel male le diverse componenti della società  libica. Oggi, sarà  il Cnt il nucleo del futuro governo? Come si coordineranno i leader espressi da Bengasi (che però non sono tutti di Bengasi) con quelli della Tripolitania, in primis i berberi del Jebel Nafusa, che avocheranno a sé il merito di aver liberato Tripoli e di aver dato la spallata finale al tiranno? Queste sono le domande che molti si pongono e che solo dopo la definitiva caduta del rais potranno cominciare a trovare risposta.


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