Le leggi di potenza dei network criminali

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 Osservata da un punto d’osservazione privilegiato come la Salerno-Reggio Calabria, la mafia calabrese, altrimenti detta ‘ndrangheta, assume sembianze del tutto particolari e svela dettagli inediti sul suo funzionamento. Ad esempio, smentisce la leggenda che la vuole impermeabile al pentitismo, oppure quella che la vede come un’organizzazione unitaria, gerarchizzata, fortemente radicata nel locale ma dalle ramificazioni globali. I trecento e passa chilometri dell’autostrada che taglia in due la regione più lunga d’Italia riescono a darne una plastica rappresentazione territoriale e della sua capacità  criminal-imprenditoriale.

Anche la mafia campana, altrimenti detta camorra, o con linguaggio savianesco «sistema», vista dalle discariche del casertano o dal mercato della Duchesca a Napoli si rivela molto differente da quella raccontata in molte ricostruzioni giudiziar-cinematografiche. Ad esempio, è interessante scoprire la poco analizzata dimensione sociale della «camorra cittadina», profondamente diversa da quella di provincia. Vale a dire la capacità  dei camorristi di rimanere sempre in stretto contatto con il loro quartiere e di mimetizzarsi nel tessuto cittadino che regolarmente ne copre la latitanza e persino la fuga. Un caso di scuola sono i tafferugli inscenati sistematicamente, e ad arte, da donne e fiancheggiatori dei clan a ogni blitz delle forze dell’ordine per dare tempo ai ricercati di darsi alla macchia, spesso attraverso botole e cunicoli scavati sotto le loro case e collegati con l’affollato sistema fognario partenopeo. I gruppi camorristici si comportano anche come una camera di compensazione delle disuguaglianze sociali, riuscendo a tenere bassa la tensione sociale altrimenti costantemente a rischio di esplosione in un contesto metropolitano come quello napoletano.
Tutt’altra camorra è invece quella coagulatasi attorno al business dei rifiuti in Terra di Lavoro. Imprenditrice di provincia, strettamente collegata alla politica e alle istituzioni, fondata su un radicato sistema di collusione diffusa che poggia sulla complicità  di dirigenti, funzionari, impiegati pubblici, forze dell’ordine e professionisti locali. Ciò che è in questione in questo caso è la governance del settore dei rifiuti, dove si intrecciano processi di privatizzazione (lo stesso sarebbe potuto accadere per l’acqua se non fosse intervenuto il referendum) parziali, attraverso le società  miste, o addirittura totali. Il «convitato di pietra», in questo caso, sono i clan che, forti del controllo militare degli spazi, entrano in società  con gli enti locali cui il federalismo avanzante delega sempre più poteri e che sono incapaci di regolare la vita civile, pubblica e sociale dei territori che dovrebbero amministrare.
Alleanze nell’ombra (Fondazione Res, a cura di Rocco Sciarrone, Donzelli editore, pp. 537, euro 29,50) indaga il rapporto tra mafie ed economie locali nel Mezzogiorno d’Italia attraverso l’analisi di alcuni casi specifici: i rapporti tra mafiosi e imprenditori in diversi settori di attività  nell’area palermitana; l’edilizia, gli appalti e le energie rinnovabili nella provincia di Trapani; la grande distribuzione commerciale nella zona di Catania; il settore dei trasporti nella Sicilia orientale; la sanità  in provincia di Reggio Calabria; i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria; la gestione e lo smaltimento dei rifiuti in provincia di Caserta; il mercato del falso in provincia di Napoli.
Un’inchiesta a tutto tondo che, pur sottolineando il loro operare nella globalizzazione, riporta il fenomeno delle mafie nel territorio di provenienza e nella sua capacità  di tessere relazioni sociali, politiche, di potere e di farsi direttamente imprenditrice, riuscendo ad operare sul mercato perfino in maniera «pulita». Del resto, fu il grande capo dei Casalesi di Casal di Principe, Francesco Schiavone detto Sandokan, ad affermare in un’aula di tribunale di sentirsi un imprenditore e non un camorrista. Viceversa, l’indagine affronta anche altri aspetti poco considerati come la disponibilità  degli imprenditori a entrare in relazione con i gruppi mafiosi e l’esistenza di un’ampia area grigia che non può essere considerata malavitosa ma agisce da intermediaria o comunque entra in contatto con le mafie propriamente dette.
Ancora una volta, sovviene come esempio la Salerno-Reggio Calabria, dove colpiscono due aspetti: come la ‘ndrangheta pianifichi la spartizione della torta degli appalti senza lasciare nulla al caso, penetrando nel meccanismo dei subappalti o entrando perfino in relazione diretta con il contraente generale, e la disponibilità  delle aziende coinvolte, anche quelle del nord, a trattare direttamente con le ‘ndrine. In contemporanea con l’approvazione della «grande opera», rappresentanti dei clan delle aree attraversate dall’autostrada si riunivano a Rosarno per pianificare la spartizione lotto per lotto e le modalità  di intervento. Ecco qui un elemento chiave per comprendere l’efficacia dell’azione delle cosche: la confederazione attorno a un obiettivo, con un patto di mutuo soccorso e contemporaneamente di non belligeranza fra loro che si risolverà  in una ventina di omicidi di singoli o appartenenti a gruppi restii ad accettare le nuove regole. Dal punto di vista imprenditoriale, un altro esempio mostra come anche le grandi imprese del nord scendono a patti pur di non avere «seccature». Di fronte a una richiesta estorsiva, un giovane e «sprovveduto» professionista proveniente dal Nord Italia decide di denunciare ai carabinieri l’accaduto. Ebbene, sarà  sostituito dall’azienda con un personaggio più navigato e abituato a «muoversi» nei contesti a forte presenza criminale.
Particolarmente interessante è il network creato per controllare edilizia, appalti ed energie rinnovabili a Trapani. Un’organizzazione «concentrica» tra imprenditori, boss, politici, professionisti e funzionari pubblici, con diversi nodi. Un’organizzazione che ricalca quella dei network sociali e del web, più difficile da identificare delle vecchie «cupole» gerarchiche. Cambiamenti di cui non si può non tener conto per capire con chi si ha a che fare.


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