Lei di Varese, lui tunisino: una storia d’amore interrotta dal pacchetto sicurezza

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MODENA – La separazione forzata di una coppia di cinquantenni è una delle conseguenze del pacchetto sicurezza. E’ accaduto a Sesto Calende, in provincia di Varese, nel cuore del regno leghista. E. P., lombarda, sta vivendo un agosto d’angoscia perché all’improvviso le è stato sottratto il compagno straniero con cui ha una relazione da tre anni. Adesso teme per la sua incolumità . L. è un tunisino senza permesso di soggiorno perché aveva perso il lavoro con la crisi. È stato portato via dai vigili urbani mentre si trovava a casa di un cugino, alle 8 del mattino del primo agosto, durante un banale controllo per un certificato di residenza. Trasferito e rinchiuso prima nel Centro di identificazione di Bari e poi in quello di Modena, ha raccontato di essere stato brutalmente picchiato e ferito dalla polizia, per rappresaglia dopo un tentativo di fuga di massa dal centro emiliano al quale lui non avrebbe partecipato.  

La storia emerge dopo giorni di alta tensione nel Cie di Modena, dove tre persone sono riuscite a fuggire durante rivolte che avrebbero causato 20 mila euro di danni per la distruzione di porte e finestre. Daniele Giovanardi, fratello del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e presidente della Misericordia, ente gestore del Cie, ha parlato di “un contingente di malfattori comuni ed ex carcerati, gente che poco ha del profugo in senso stretto”. Dall’interno del Centro, alcuni reclusi denunciano per telefono pestaggi indiscriminati da parte degli agenti. “La polizia è entrata di notte con i manganelli e ha preso anche chi non ha fatto niente – dicono – mi hanno quasi spaccato l’occhio, a un altro la mano, mi hanno picchiato di brutto”.

Accento padano, vive in Italia dal 1982, L. è recluso senza aver commesso reati. La prefettura di Varese vuole rispedirlo a Tunisi, anche se lui ormai si è rifatto una vita qui e non ha più messo piede in patria negli ultimi dieci anni. Sta in gabbia in attesa dell’identificazione quando a Sesto Calende lo conoscono tutti e, oltre alla compagna, lo aspettano cugini, fratelli e cognate, regolari da tempo sul territorio.  L. ha avuto il permesso di soggiorno dal 1990  al 2005. Poi ha perso occupazione e diritti e da allora vivacchia con lavoretti in nero. Senza documenti e con un decreto di espulsione alle spalle non si protesta. E così, il recluso tunisino, prima di finire in cella ha fatto il muratore per un mese per un’azienda che si è rifiutata di dargli il salario.  “Tutti sapevano, carabinieri, vigili e polizia che non aveva i documenti – racconta  la donna che si sta battendo per tirarlo fuori – lui era ben visto da tantissime persone, ma adesso c’è un comandante nuovo, abbiamo un sindaco leghista, abbiamo tutto questo apparato…”.

L’amore non conosce passaporti, ma una prova del genere è dura per una tranquilla signora di mezza età . “Lui per me è un aiuto in tante cose, di punto in bianco mi sono trovata come se fosse stato un delinquente e non so cosa fare – dice E. – ho speso già  più di mille euro per gli avvocati e non vivo nell’oro”. Perfino telefonarsi costa caro. L’unico mezzo di comunicazione è una cabina alla quale si può chiamare da fuori componendo un esoso 199, considerato che si tratta di un numero fisso. Dal cellulare costa 56 centesimi al minuto più scatto alla risposta. Nonostante formalmente non sia un carcere, al Cie di Modena sono vietati i cellulari, come sottolinea il rapporto 2010 di Medici senza Frontiere (“Al di là  del muro”), in cui si legge: “Desta perplessità  la prassi adottata dall’ente gestore di ritirare ai nuovi arrivati orologio e telefono cellulare”. 

Ogni detenuto nella struttura costa alle casse pubbliche la cifra record di 75 euro al giorno.  Nel caso di L. si spendono questi soldi per trattenere con la forza un immigrato che lavora da 30 anni nel nord Italia. Tant’è che il giudice di pace di Bari non ha convalidato la detenzione nel Cie decisa a Varese, con una sentenza che tiene conto del caso individuale e cita “la lunga permanenza regolare dello straniero sul territorio nazionale”, “i permessi di soggiorno non rinnovati a causa della crisi economica e la conseguente riduzione dei posti di lavoro nella zona in cui risiedeva” e la necessità  di informare le autorità  consolari tunisine “indispensabile data la lunga permanenza regolare dello straniero”. Per il giudice andavano applicate misure meno coercitive così come previsto dalla direttiva europea sui rimpatri che prevede il rientro volontario.

Rilasciato il 4 agosto a Bari, L.è tornato a Varese e, come gli era stato suggerito, si è presentato in questura dopo 5 giorni. “Ci hanno detto : state tranquilli, non lo mangiamo – riferisce la sua compagna – e poi invece lo hanno mandato subito al Cie di Modena, hanno fatto come i deportati di una volta dei nazisti, lì effettivamente è un carcere e c’è stata la rivolta, l’hanno picchiato e mi hanno impedito finora di vedere come sta. Abbiamo buttato via i soldi per essere di nuovo punto e a capo”.  Ma soprattutto, la legge è stata applicata in modo opposto dai due giudici di pace di Bari e di Modena, visto che il secondo ha convalidato la dentenzione nel Cie dopo soli 5 giorni dal rilascio.  

 

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