«Londra come Parigi Rivolta degli esclusi ma senza progetto»

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PARIGI — «Londra brucia come Parigi qualche anno fa. Scene di guerriglia urbana all’insegna del “distruggo dunque sono”, frutto dell’umiliazione sociale, economica, culturale e metropolitana». Ma le analogie tra le rivolte nei due versanti della Manica finiscono qui per Dominique Moà¯si, politologo francese di fama internazionale (è editorialista del Financial Times), co-fondatore dell’Istituto francese di relazioni internazionali. Il raggio d’azione è diverso. «I casseur francesi agivano nelle periferie, nei sobborghi, non sono riusciti a entrare nel centro città . A Londra la polizia si è dimostrata più impreparata di quella francese».
Hanno anche bersagli diversi.
«Gli hooligan inglesi prendono di mira soprattutto i negozi, simboli del capitalismo e del consumismo da cui si sentono esclusi. I francesi bruciavano scuole e auto, emblemi della mobilità , sociale e fisica. Come a dire, “in una società  che ci ha bloccati, non crediamo di poter ripartire con la scuola”».
Che altro li distingue?
«Per il tam tam i giovani britannici si sono affidati agli smartphone, il ruolo delle nuove tecnologie in Francia è stato inesistente. Era ancora un’altra epoca».
In Tunisia Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante con la laurea che si è dato fuoco, voleva denunciare un’ingiustizia e ha provocato una rivoluzione. A Londra la morte di Mark Duggan, giovane ucciso dalla polizia e miccia delle rivolte britanniche, dove porterà ?
«Il giovane tunisino è il simbolo della frustrazione di tutta una generazione che si è mobilitata dando vita a una vera rivoluzione, come la rivoluzione francese. In Gran Bretagna assistiamo invece a sommosse che si propagano ma che non hanno un futuro politico: non è una rivoluzione ma una successione di rivolte. Il motore non è un progetto di cambiamento, ma le pulsioni nichilistiche di alcuni “esclusi” attorno a cui si coagulano le insoddisfazioni di molti. I teppisti inglesi sono appoggiati da molti giovani che, pur non condividendo il ricorso alla violenza, lo capiscono. I sacrifici richiesti in periodo di crisi si traducono in violenza se non vengono applicati a tutta la società . Ma nelle rivolte di ieri a Parigi come in quelle di Londra oggi non c’è una vera e propria rivendicazione di giustizia sociale».
Questa rivendicazione è forte invece nelle rivolte del mondo arabo.
«In Tunisia e in Egitto è in corso una rivoluzione etica oltre che politica. La disuguaglianza sociale si è trasformata di recente nel maggior problema politico in molti Paesi. La mondializzazione crea fenomeni di interdipendenza e trasparenza: per la prima volta le persone molto povere sanno come vivono quelle molto ricche: questo genera un sentimento di ribellione sociale. Dalla Spagna, a Israele fino al Cile».
Nella sua «Geopolitica delle emozioni» l’Occidente sfiduciato è stretto dalla paura e il mondo arabo sprofondato nell’umiliazione. E’ ancora così?
«L’umiliazione è stato il motore delle rivolte nel mondo arabo. Ora è presto per dire se sarà  rimpiazzata dalla speranza, ancora prerogativa dell’Asia. Le frontiere delle emozioni sono porose e cambiano velocemente».


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