L’omertà  del ministro

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 Tremonti ha parlato, ma non ha detto nulla della strategia anti-crisi del governo. Il ministro dell’economia si è giustificando sostenendo che 1) il capo dello stato non era stato ancora informato; 2) che non è opportuno dare informazioni a mercati aperti; 3) che la riunione in parlamento aveva per tema le modifiche costituzionali agli articoli 91 e 41. E non ha neppure fornito la lettera inviata a Berlusconi dalla Bce affermando: i contenuti devono essere rivelati da Francoforte. Cosa più importante: non ha svelato quale sarà  l’entità  della manovra: 20 miliardi o 32-35 lo sapremo solo a giochi fatti. Bontà  sua, però, ha giurato che le misure del governo sono «discutibili in parlamento».

La prima conferma che è arrivata riguarda la modifica costituzionale dell’articolo 81: sarà  introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio dello stato. Altra modifica costituzionale è quella dell’articolo 41 sulla libertà  d’impresa. Ovvero, tutto è consentito, salvo quello espressamente vietato dalla legge. Gli imprenditori, autocertificandosi, sarannno garanti del rispetto delle leggi.
Tremonti ha esordito con una premessa: «la crisi ha preso un corso diverso, non ancora finito, del quale non è facile prevedere la dinamica». Fosse stato più sincero, avrebbe dovuto ammettere che il suo governo non aveva capito nulla di quanto stava accadendo nell’economia globale. O aveva fatto finta di non accorgersene per arrivare senza stangate alle elezioni politiche del 2013. Tremonti ha insistito sul fatto che, dopo l’approvazione parlamentare del decreto a metà  luglio (fissava il pareggio di bilancio al 2014) c’è stata «una intensificazione verticale della crisi» che ha imposto il pareggio di bilancio nel 2013. Per questo «dobbiamo fare una manovra molto forte sul 2012 e 2013». Quanto forte, non l’ha detto. Genericamente, per favorire la crescita ha affermato che serve una «piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali, dei servizi professionali e la privatizzazione su larga scala dei servizi locali». Poi ha tirato fuori dal cilindro la proposta di «accorpare sulle domeniche le festività  infrasettimanali». Infine ha affrontato i temi cari alla sua professione di commercialista: la modifica della tassazione delle rendite finanziarie. Salvo il debito pubblico (tassato al 12,5%) tutte le altre rendite dovrebbero essere colpite da una imposta del 20%. Il tutto si risolve, però in pochi spiccioli.
Altra proposta estemporanea (ma cara alla Confindustria) è stata quella di accelerare «la contrattazione a livello aziendale, con il superamento del sistema centrale rigido» ma anche «il licenziamento del personale compensato con meccanismi di assicurazione più felici». Come l’ha giustificata? Affermando che «bisogna evitare l’abuso dei contratti a tempo determinato». Non solo: sembra che il decreto recepirà  la cosiddetta «legge Fiat» richiesta dal Lingotto per rendere esigibili gli accordi separati siglati senza la Fiom (e contro cui le tute blu Cgil si stanno rivalendo in tribunale). A questo punto ha rotto il giuramento di non dire nulla della lettera della Bce, rivelando che tra i «suggerimenti» c’e anche la riduzione degli stipendi nel pubblico impiego. Ma, interpretando il poliziotto buono, ha giurato: «non lo faremo». Breve accenno anche ai costi della politica: «dobbiamo intervenire perché ci sono eccessi». Stop.
Si possono fare ipotesi sulla base delle mezze parole dette in questi giorni. È certo che non si riusciranno a recuperare abbastanza risorse soltanto con l’accelerazione di alcune norme previste dalla manovra varata a luglio. Anche perché alcuni provvedimenti richiedono tempi lunghi. Ieri si sussurrava della possibile introduzione di una euro-tassa straordinaria per i redditi di almeno 60-100 mila euro. Fumo negli occhi: viste le denunce dei redditi e l’elevata evasione fiscale il rischio è che non dia un gettito elevato. Nonostante l’opposizione (molto ammorbidita) di Bossi e dei sindacati il governo metterà  mano al sistema previdenziale. Anche le donne in pensione a 65 anni in un breve lasso di tempo; eliminazione di fatto delle pensioni di anzianità  e ulteriore anticipo dell’aumento d’età  legato alla speranza di vita. Il governo vuole mettere le mani anche sulle pensioni di reversibilità  e invalidità  oltre che su tutto il sistema dell’assistenza. Ma non è semplice: richiede tempi lunghi.
Sul fronte fiscale c’è un provvedimento che troverebbe il consenso della sinistra: l’imposta patrimoniale, ma per Berlusconi è come fumo negli occhi visto che dovrebbe pagare parecchi soldini. Dalla sua questa volta c’è Bossi, ma anche Angeletti e la Uil. È praticamente certo, invece, che sarà  aumentata la tassazione sulle seconde case con un’addizionale straordinaria per l’Ici e con l’aumento delle rendite e quindi con un incremento del gettito Irpef. Non è neppure escluso un aumento delle aliquote Iva: dell’1% per i generi di largo consumo; del 2% per tutti gli altri prodotti. L’aumento potrebbe fruttare almeno 9 miliardi. Sembra, però, che Berlusconi la voglia tenere nel cassetto e tirarla fuori prima delle elezioni riducendo al tempo stesso le aliquote Irpef. Oppure in alternativa (sembra per far contenta la Confindustria) l’aumento potrebbe essere destinato alle imprese per far diminuire il costo del lavoro, attraverso una riduzione dell’Irap. In ogni caso c’è il rischio che i commercianti prendano la palla al balzo e si scatenino con gli aumenti dei prezzi.
Sul collo degli italiani c’è poi la mannaia del taglio delle agevolazioni fiscali. Il provvedimento era stato pensato come sostitutivo della manovra varata nel caso non si fosse riusciti a varare altri tagli sgradevoli. Tagliare linearmente del 10% tutte le agevolazioni porterebbe un gettito di circa 16 miliardi.


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