Londra chiude l’impianto del Mox Aveva perso i clienti, tutti in Giappone

by Sergio Segio | 4 Agosto 2011 6:40

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 Il disastro atomico di Fukushima in Giappone ha fatto un’altra vittima. La Gran Bretagna infatti ha deciso di chiudere l’impianto di produzione del combustibile atomico Mox (ossidi misti di uranio e plutonio), attivo da una decina d’anni presso la centrale di ritrattamento del combustibile nucleare di Sellafield, in Cumbria.

«La ragione di questa chiusura è direttamente collegata ai tragici eventi in Giappone, seguiti allo tsunami e al suo impatto sui mercati. Come conseguenza non abbiamo più un cliente, nè finanziamenti, per questo servizio». Queste le parole di Tony Fountain, direttore generale della Nuclear Decommissioning Authority (Nda), l’ente statale che si occupa di smantellamento e pulitura dei complessi nucleari civili del paese. Fountain ha ammesso infatti che l’impianto era in perdita da tempo (soffriva «da molti anni di performances deludenti») e questa perdita è stata finanziata con i soldi dei contribuenti britannici.
La reale situazione era stata tenuta nascosta fino ad ora perché l’azienda aveva puntato su un piano di salvataggio: sperava che le utilities giapponesi avrebbero usato in modo consistente il combustibile Mox. Sellafield è una delle più importanti centrali per il processo di ritrattamento delle scorie nucleari in Europa; un processo consentito, per ragioni di sicurezza, solo alle potenze nucleari ufficialmente riconosciute.
Senza entrare in eccessivi tecnicismi, il ritrattamento consiste nella separazione chimica delle scorie nucleari in un 1% di plutonio e il restante 99% di uranio, da arricchire nuovamente per riusarlo come combustibile atomico. L’impianto di Sellafield, dopo aver eseguito la separazione, utilizza il plutonio ricavato per produrre un nuovo combustibile nucleare, il Mox: una particolare combinazione di ossidi di uranio e plutonio. Altri stati, come il Giappone, inviano agli impianti di ritrattamento le loro scorie – vedendosi proporre in cambio di riacquistare Mox.
L’apertura dell’impianto di produzione del Mox, che ha avuto una gestazione di un decennio (la prima proposta risaliva al 1991), è stata circondata da polemiche: infatti la miscela del Mox risulta particolarmente pericolosa in caso di incidente nucleare a causa del suo contenuto di plutonio. Uno dei reattori dell’impianto di Fukushima Daiichi era alimentato appunto da Mox.
Annunciata ieri, la chiusura completa dell’impianto richiederà  diversi mesi. L’azienda ha promesso che troverà  il modo di reintegrare all’interno dell’impianto i 600 lavoratori che perderanno il posto.
Si chiude così per ora l’impresa del Mox in Gran Bretagna – anche se in Cumbria le autorità  locali sperano che possa riprendere in futuro. Ma il disastro di Fukushima, che ha rimesso in discussione l’industria nucleare un po’ ovunque, per ora ha dato un colpo mortale all’impianto di Sellafield, proprio perché contava, per tornare in attivo, sul Giappone. Il destinatario previsto per la prima partita di Mox prodotta a Sellafield era l’impianto di Hamaoka, di proprietà  dell’azienda Chubu Electric. Ma questo ora è chiuso in attesa di una massiccia opera di miglioramento dei suoi sistemi di sicurezza, dato che si trova in una zona ad elevato rischio sismico. Come seconda scelta era stata identificata anche l’azienda Tepco, ora in evidenti difficoltà .
Considerata la situazione, la Nda ha concluso che l’unica soluzione possibile al momento è la chiusura dell’impianto, per evitare ulteriori oneri per lo stato, ma al contempo sottolinea la sua intenzione di non far morire la struttura. Secondo l’azienda la centrale continuerà  a stoccare il plutonio giapponese in maniera sicura, mentre saranno ulteriormente sviluppate discussioni col paese del sol levante per incentivare un approccio responsabile al riutilizzo del materiale stesso.

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