Londra, incitarono alla rivolta su Facebook condannati a 4 anni ma è polemica sul pugno duro

by Sergio Segio | 18 Agosto 2011 6:12

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LONDRA – Processi immediati, gogna in tv, insulti sui tabloid: per i protagonisti dei quattro giorni di follia le occasioni di ripensamento non mancheranno. Ora però i 1200 incriminati rischiano di diventare “esempi” per i giovani del Regno Unito, un monito per ogni futura tentazione. Lo dimostrano le sentenze legate ai disordini, che il premier David Cameron ha accolto con favore, ma che hanno suscitato dubbi molto forti fra giuristi e difensori dei diritti umani. Persino il moderato Times ha sottolineato le sue perplessità  in prima pagina ieri, con un titolo esplicito: «Condannati a quattro anni per una rivolta che non fu». Si riferiva a Jordan Blackshaw e Perry Sutcliffe-Keenan, i due ventenni del Cheshire, che pubblicarono su Facebook l’invito a unirsi ai disordini, sottolineando anche il luogo e l’ora per l’attesa riunione. In quell’occasione, grazie alle segnalazioni, la polizia chiuse le pagine incriminate, evitando che i proclami si trasformassero in realtà . Ciononostante il giudice di Chester ha deciso di accogliere i suggerimenti governativi e rinchiudere i due per quattro anni: un gesto che il primo ministro ha ben accolto: «I tribunali hanno deciso di lanciare un messaggio duro, su ciò che è giusto e ciò che non deve essere tollerato. È una cosa molto positiva che si sentano in grado di farlo».
Contestato per il ritardo nel rientrare dalle ferie, Cameron doveva mostrare la faccia feroce e dare spazio a quella che la stampa definisce «l’Inghilterra arrabbiata». Ma puntare sull’idea di riempire le carceri anziché affrontare il disagio sociale appare più una scelta populista che una decisione politicamente produttiva. Fra i primi a contestare il penalista John Cooper: «Temo che alcune sentenze siano sproporzionate e persino in un certo modo isteriche: dietro le sbarre, a spese dei contribuenti, c’è gente che poco tempo fa sarebbe stata solo affidata ai servizi sociali». Andrew Neilson, della Lega per la riforma penale, parla di «totale mancanza di proporzione per certe sentenze, la quale indebolisce un principio fondamentale del sistema giudiziario. E in appello le sentenze verranno certamente rovesciate». Paul Mendelle, ex presidente dell’Ordine degli avvocati, dice che «come la giustizia ritardata, anche la giustizia affrettata può essere giustizia negata». Il fratello di uno dei condannati ha sintetizzato il giudizio con queste parole: «C’è gente che ha avuto sentenze più lievi dopo aver accoltellato qualcuno».
E il caso del Cheshire non è il solo a suscitare perplessità , anche perché un 17enne londinese che aveva lanciato un messaggio simile se l’è cavata con l’esclusione per un anno da Facebook, 120 ore di lavori socialmente utili e tre mesi di clausura serale. In senso contrario va la condanna a sei mesi di un 23enne che aveva rubato un cartone di acqua del valore di 3,5 sterline da un supermarket di Brixton, oltre alla severità  inusuale applicata per i protagonisti dei disordini di Manchester.
L’opinione pubblica sembra divisa. Da una parte c’è l’orrore per la violenza, richiamato anche ieri dai titoli sul ragazzo sedicenne che durante i disordini ha colpito con un pugno il 68enne Richard Bowes a Ealing, uccidendolo. Dall’altra c’è l’esigenza di rimettere in simmetria l’ordine quotidiano, senza esagerare con le spinte repressive. Tanto più che in questi giorni sulle pagine dei giornali alle notizie sui disordini se ne sono affiancate numerose sulla crisi economica: si parla soprattutto di pensioni che non basteranno più, di disoccupazione giovanile in aumento rapidissimo, di periferie ormai abbandonate in mano alle gang. Un accostamento forse non del tutto casuale.

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