Londra presidiata e spaccata a metà 

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Le strade di Tottenham ormai sono ripulite, almeno nella parte centrale: solo qualche vetrina incrinata e l’onnipresenza della polizia, dicono che tra sabato e domenica scorsa qui sono cominciati i riots, i disordini che hanno lasciato Londra e molte città  britanniche sotto shock. Le emozioni però corrono forte, e lo si vede nella centro sportivo del locale municipio, il Borough di Haringey, diventato una sorta di centro d’emergenza per le vittime. Ieri è stata una giornata di pubbliche assemblee: l’associazione degli inquilini fa la conta dei danni, case bruciate, negozi devastati. L’ente locale ha dispiegato assistenti sociali e consulenti legali: «Abbiamo 54 famiglie rimaste homeless quando le case sono state incendiate», riassume Monica, l’addetta stampa del municipio: gli assistenti sociali cercano sistemazioni provvisorie, aiutano a riempire moduli, sussidi per la casa, richieste di risarcimenti. Volontari raccolgono sacchi di vestiti, giocattoli, coperte da distribuire alle vittime.
Qui non c’è molta tenerezza verso i protagonisti dei riots: «Come si può difendere questi criminali», dice infuriato un giovane uomo che non vuole presentarsi, ha un piccolo negozio di bigiotteria che è stato svuotato – non era assicurato e ora spera nei risarcimenti promessi dal governo. «È complicato», dice Zena Brabazon, consigliera municipale: «le vittime dei disordini non sono certo ricchi, è gente che appartiene alle minoranze etniche e fatica a vivere: questa è una delle zone più diverse di Londra», dove per «diversa» si intende multietnica. «Certo, bisognerà  capire cosa spinge dei giovani a comportamenti così antisociali…».
«È un momento difficile, la comunità  ha bisogno di tornare alla normalità , lavorare, riaprire i negozi», dice Ed Miliband. Il segretario del Labour Party e capo dell’opposizione è appena uscito da una riunione con i consiglieri municipali, si intrattiene con gli assistenti sociali. Di solito schivo con i media, trova un minuto per dire al manifesto che «siamo di fronte a un problema sociale enorme». Nei primissimi giorni, a incendi e saccheggi ancora caldi, Miliband aveva dichiarato che «quali che siano le cause profonde, non ci sono scuse per una tale violenza». Ora precisa: «Ristabilire la calma è una priorità , ma è essenziale affrontare le cause profonde di ciò che è successo. È chiaro che questa tremenda esplosione di rabbia nasce in un contesto di esclusione sociale. Non possiamo giustificare la violenza, ma dobbiamo fare in modo che questi giovani vedano prospettive diverse da quella di saccheggiare un negozio. I riots sono un segnale: le cause sono molte e diverse, non ci sono risposte semplicistiche. È necessario fare uno sforzo collettivo, bisogna ascoltare le comunità : per questo abbiamo proposto una commissione d’inchiesta su cosa è successo e come rispondere, e di avviare un dialogo nazionale». La risposta del governo, che invoca il pugno duro? «È un momento difficile. È necessario che tutti si assumano le proprie responsabilità , spero che il governo lo capisca».
Una cosa è sicura, i disordini che hanno provocato la risposta di legge e ordine da parte del governo anche diviso la Londra progressista, liberal, socialmente impegnata: tra chi parla di criminalità , gang, comportamenti antisociali, violenza ingiustificata e chi invece è propenso a cercare cause sociali, l’emarginazione, la mancanza di prospettive, l’arroganza della polizia… «Questa non è una rivoluzione politica: gente che va in giro a saccheggiare scarpe firmate non ha certo motivazioni politiche», insiste Zena, la consigliera municipale di Tottenham, militante di sinistra. L’intero Borough di Haringey ha 250mila abitanti «e un sacco di problemi sociali», spiega: metà  della popolazione appartiene a gruppi etnici (britannici etnici non bianchi, è la definizione dell’ufficio di statistica). «È un quartiere di passaggio, di nuovi arrivati. Il tasso di disoccupazione più alto della media nazionale, e questa non è una zona gentrificata come Hackney. Il municipio fa del suo meglio ma è vero che la scuola e le infrastrutture pubbliche sono in difficoltà , e non ci sono molti complessi di edilizia pubblica. La povertà  è alta. Ma le reti sociali qui esistono, nonostante i tagli dell’era Thatcher. È vero, i giovani non hanno prospettive… ma alla fine, chi sono le vittime? Certo, tutto è cominciato con la morte di un uomo sparato dalla polizia. È complicato, è complicato».
Complicato? Non si fa certo tanti scrupoli la petizione che sta circolando da qualche giorno via internet: chiede che coloro che saranno riconosciuti colpevoli dei riot vengano privati dei benefici del welfare e sfrattati dalle case di edilizia popolare – cosa che in effetti alcune autorità  locali hanno minacciato di fare. «Pensa perfino alcuni amici l’hanno firmata: e sono persone di sinistra», dice scandalizzata una giovanissima attivista sociale a Hackney. In pochi giorni la petizione ha superato le centomila firme, soglia che obbligherà  il parlamento a discuterla se sarà  formalmente presentata: non certo il dialogo nazionale che auspica Ed Miliband.

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LONDON CALLING
«Io sto dalla parte dei contestatori», i riot secondo Velentino Rossi

 «Sono con i contestatori. La polizia dovrebbe dare una mano a risolvere i problemi, non mettersi a menare la gente e uccidere i ragazzi. Se c’è questo casino, forse il perché è proprio nel comportamento delle forze dell’ordine». I riot di Londra secondo Valentino Rossi, campione del Moto Gp, intervistato su «La Stampa».

Il volto olimpico
Chelsea Ives, 18 anni, ambasciatrice per le Olimpiadi di Londra 2012 è finita dietro le sbarre. Nel pieno della guerriglia è stata infatti ripresa dalle telecamere della Bbc mentre assaltava una macchina della polizia con un grosso palo di legno. Poco prima, dicono dei testimoni, ha «guidato» una carica a un negozio di cellulari frantumando la vetrina con una mattonata. Ma davanti alla tv c’erano anche i suoi genitori. Che non appena l’hanno riconosciuta non hanno esitato a denunciarla alla polizia.

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Scontro governo-polizia Errori sulla morte di Duggan

 Scontro tra governo e polizia sulla gestione dei riot. Se l’altro ieri, davanti al parlamento, il premier Cameron aveva accusato Scotland Yard di aver agito in ritardo, pur anestetizzando il tutto con lodi agli agenti eroi, oggi la polizia gli risponde a tono: non è vero, e voi state scarcerando i teppisti che abbiamo arrestato. A puntare il dito il capo della polizia facente funzione (lo scandalo Murdoch ha fatto strage ai vertici), Tim Godwin, che non ha perso occasione per ricordare che allo scoppio degli scontri Cameron era in vacanza. «Siamo stati noi e non i deputati o i politici, a introdurre l’approccio più duro che ha ripristinato la calma. Non è neanche stata la ministra degli Interni, Theresa May, a richiamare i dirigenti della polizia dalle vacanze», ha tuonato Hugh Orde, presidente dell’Associazione dei dirigenti della polizia, davanti ai microfoni della Bbc. In controluce si intravedono i tagli previsti dal governo alle forze dell’ordine per riequilibrare il bilancio pubblico. Per entrambi i litiganti si registra comunque un calo di consensi. Anche perché l’inchiesta condotta dall’«Independent Police Complaints Commission» (Ipcc) sta tirando fuori particolari compromettenti riguardo alla dinamica dell’uccisione di Mark Duggan, la miccia da cui si è scatenato il pandemonio. L’Ipcc ha ammesso di aver «inavvertitamente fuorviato» la stampa sulla morte del ragazzo freddato a Tottenham dalla polizia, facendo ritenere che il giovane avesse aperto il fuoco contro gli agenti. «È possibile – afferma la Commissione in un comunicato – che verbalmente possiamo avere indotto i giornalisti a ritenere che vi fosse stato uno scambio di colpi di arma da fuoco». Come è emerso finora dall’inchiesta, Duggan non sparò contro gli agenti.


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