Lotta all’evasione se non ora, quando?

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Anzi, doveva essere l’imperativo di un Governo che impone l’ennesimo aumento della pressione fiscale sui redditi di chi li ha sempre dichiarati. Senza contare che iniquità  e aliquote elevate costituiscono un incentivo a non pagare le tasse. E che il contrasto all’evasione è anche un modo efficace di combattere corruzione e illegalità .
Primo, bisognava stabilire un legame diretto tra la lotta all’evasione e il beneficio per il cittadino. Disponendo che il gettito tributario eccedente la previsione nella legge di bilancio andasse a ridurre automaticamente le aliquote sui redditi nell’anno successivo. Oltre che per un senso di equità , per rendere manifesto l’interesse di ognuno a scoraggiare l’evasione.
Inutile puntare solo sull’inasprimento delle sanzioni. La manovra minaccia la chiusura di esercizi commerciali e la sospensione dagli ordini professionali in caso di mancati scontrini e fatture. Ci credete davvero? Le sanzioni non servono se sono poco credibili, o se la probabilità  di venire sanzionati è bassa. Chi mai è finito in galera per evasione? O non si è accordato per una cifra inferiore alle imposte evase? Magari, grazie a condoni e scudi? Ridicolo fare la faccia feroce con gli evasori. Serve un sistema di controlli credibile che scoraggi l’evasione: che sia efficace grazie alla sua capacità  deterrente, più che a quella sanzionatoria.
La chiave è la “tracciabilità “. Ma non quella del vigente “spesometro”, che impone ai soggetti titolari Iva di comunicare all’Amministrazione finanziaria i pagamenti superiori a certe soglie. L’Iva è l’imposta maggiormente evasa: come mettere una volpe a guardia del pollaio.
La traccia da seguire è quella che lasciano i soldi: qualsiasi entrata o uscita prima o poi viene registrata dagli intermediari finanziari, che già  ora sono in grado di trasmettere all’Agenzia delle Entrate tutti i rapporti e le transazioni finanziarie. Oggi si ricorre a questi dati solo per i soggetti già  in sospetto di evasione. Andrebbero analizzati prima e in modo sistematico. Non per accertare l’imposta evasa, ma per identificare i soggetti che hanno maggior probabilità  di essere evasori.
Un’analisi dei dati finanziari universale e sistematica sarebbe un deterrente potente: sfuggirebbero solo le transazioni estero su estero, comunque rintracciabili grazie agli accordi di collaborazione internazionale, e quelle in contanti, alimentate però da incassi in contanti, senza mai passare per una banca, rese difficoltose dal limite ridotto oggi a 2.500 euro.
Il principio a cui ispirarsi è quello del rendiconto finanziario delle società  quotate: qualsiasi uscita di cassa, per qualunque finalità  (investimenti o costi operativi) deve trovare la giustificazione in un ricavo, nell’accensione di un prestito o nella vendita di un’attività . La cassa non si crea e non si distrugge.
Per ogni individuo, nucleo familiare, impresa individuale o società  di persone, gli intermediari dovrebbero comunicare annualmente al fisco: (1) la somma complessiva delle poste in “Dare” di tutti i suoi conti correnti, misura della capacità  complessiva di spesa, di consumo e di investimento, finanziario e reale (case, opere d’arte, licenze, macchinari); più (2) la differenza tra saldo finale e iniziale dei conti; meno (3) interessi e dividendi incassati (tassati alla fonte); meno (4) i prestiti concessi. Se questa somma è sproporzionata rispetto al reddito dichiarato, o non c’è dichiarazione, la spesa complessiva deve essere finanziata da una riduzione degli attivi patrimoniali (vendita di immobili, di titoli, di un’azienda), da un’eredità , o una vincita. Per questo, bisognerebbe richiedere in dichiarazione l’elenco dei beni patrimoniali; facilmente verificabile dal fisco, incrociando le informazioni di altre banche dati (Camere di commercio, Agenzia del territorio, Monopoli di Stato).
Chi ha ricevuto tangenti, svolto attività  o lavorato in nero, incassato affitti non registrati, venduto case o licenze commerciali a un multiplo di quanto dichiarato, investito proventi illeciti, o ricevuto regalie e “prestiti infruttiferi” per allietare uomini facoltosi, si troverebbe in serie difficoltà  a giustificare la propria capacità  di spesa. Oltre a inguaiare le controparti. Sapendolo, ci penserebbero bene prima di evadere o commettere illeciti.
Una proposta simile verrebbe immediatamente bollata come “stato di polizia”. Anche se negli Stati Uniti vigono principi similari. Eppure sarebbe un sistema fattibile, poco costoso e infinitamente più efficace di tutti gli inutili redditometri, spesometri, studi di settore (meri accordi negoziati con le categorie) che abbiamo partorito in questi anni. Basta volerlo. Se non ora, quando?


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