Merkel. Scacco alla regina

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Berlino. Persino le caricature su di lei si sono fatte molto più spietate. Sulla Sà¼ddeutsche o sul Tagesspiegel registrano il cambio d’umore con un tratto di penna: eccola intenta a versare invano acqua in un secchio enorme, e non sente che il buon Michael (l’immagine del tedesco medio) l’avverte invano, «Signora, il secchio è bucato». Oppure danza con Sarkozy su un’Europa-nave in tempesta, il Titanic delle paure collettive. Anche il suo look è sotto tiro, la simpatia per gli abiti-pantalone o per rare, audaci scollature al festival di Bayreuth sono un ricordo. «Lo stesso vestito in troppe occasioni». Il vecchio patriarca Helmut Kohl spara a zero: il governo «ha perso la bussola, non è più un Grande attendibile, rischiamo di divenire inaffidabili agli occhi di Europa e mondo».
Nei sondaggi la maggioranza degli elettori non crede più nella sua leadership, nel partito i rivali affilano i coltelli, e l’opposizione, con un nuovo leader dotato dello smalto di competenza da uomo di Stato, rialza la testa. Estate amara per Angela Merkel, e molti le prevedono un autunno tremendo.
A poco serve la confermata incoronazione di Forbes a “donna più potente del mondo”. A casa, non solo nelle piazze infuocate di Atene e Madrid o nei palazzi del potere romani, “Angie” non piace più. Quell’apparente carenza di leadership nella bianca, postmoderna Cancelleria a un passo dal Reichstag e dalla Porta di Brandeburgo, allarma i mercati, confonde gli altri governi europei, esaspera i tedeschi.
«Tatticismo tentennante senza strategia, pessima gestione della crisi dell’Europa, crisi con gli alleati sulla Libia… nel dopoguerra non era mai accaduto con noi al potere, e non solo con noi». Sotto il sole incerto dei 13,5 gradi della fine estate mitteleuropea, qui nella Berlino dove si respira una scoraggiante, fredda atmosfera quasi da fine regno, ascolto un vecchio amico, da decenni una delle voci più influenti nel centrodestra tedesco. «Ma si rende conto, astenersi all’Onu insieme a Cina e Russia su Gheddafi? E non scegliere nessuna linea chiara sulla bufera che minaccia l’euro, la moneta in tasca a noi tutti? Dio, che fine hanno fatto l’europeismo e la fedeltà  all’Occidente, i valori costitutivi comuni della nostra democrazia nata dalle rovine? Sembrano un’eredità  dimenticata, al minimo, e non basta negarlo e riassicurare in buona fede. E vogliamo parlare dell’identità  del partito? La base conservatrice-moderata non vi si riconosce più. Libia, Europa, nucleare…troppe scelte bonapartiste senza consultare la base».
Alla Konrad-Adenauer-Haus, “Palazzo Adenauer”, il quartier generale della Cdu (la Dc tedesca) a Tiergarten, tira aria cupa. Il moderno edificio ipervetrato, a forma d’un robusto piroscafo, se ci entri e ascolti le voci per sentire il polso al cuore del partito, ti fa pensare a un battello nella bufera. Ecco il falco conservatore Joerg Schoenbohm, l’ex generale che sotto Kohl unificò la Bundeswehr e la Volksarmee tedesco-orientale dopo la caduta del Muro: «La Cdu diventa sempre più un contenitore vuoto». Gli fa èco un avversario interno, Ruprecht Polenz, presidente della Commissione Esteri del Bundestag, da sempre colomba europeista: «Le grandi linee della politica estera tedesca sono impallidite». L’ala conservatrice e magari un po’ euroscettica del potere, e gli europeisti nostalgici di Kohl, si uniscono come in un fuoco incrociato contro di lei. Spuntano persino, nel clima da quasi fin di regno, possibili rivali, come l’ambiziosa, spregiudicata viceleader cdu Ursula von der Leyen, che non ci pensa due volte a proporre, schizofrenicamente, prima di esigere dai paesi “Piigs” le riserve auree in pegno per gli aiuti, poi di costruire in fretta «gli Stati Uniti d’Europa».
Angie non piace più, non fa sognare né chi vuole una Germania più “nazionale” né chi la preferisce più leader europea. Non è solo la crisi, forse terminale, dell’alleata Fdp (liberali), né solo il timore che Peer Steinbrueck, il professionale, stimato ex ministro delle Finanze socialdemocratico della grosse Koalition (2005-2009), si candidi a cancelliere con buone chances di riportare le sinistre democratiche al potere.
Depressione e stress, a palazzo Adenauer, tra rimpianti del grande passato di Kohl l’europeo e timore del domani. Una tv manda in onda la diretta d’un comizio di “Angie” in Meclemburgo, dove si vota tra poche settimane e la sconfitta è annunciata. La cancelliera parla a una folla dell’Est, là  l’angoscia verso il futuro pesa come un macigno. «So che avete paura», dice, e aggiunge come se poche parole generiche bastassero a convincere, «ma non dovete avere paura, la nostra valuta è stabile». Passa un vecchio dirigente democristiano, chiede l’anonimato e mugugna: «la conobbi nel ’91 a Bonn, non mi fece nessuna impressione, non so come ha fatto a convincere tanti, ma così non dura». Nella hall, giovani militanti leggono sconcertati ad alta voce i siti dei giornali visti sullo schermo di un iPad. «L’autunno della Merkel», annuncia Die Welt, pure filogovernativo. Senza mezzi termini, da Monaco, la Sà¼ddeutsche Zeitung la dipinge come «un leader con le spalle al muro». Poi arriva come una raggelante breaking news online la sentenza a citazione wagneriana del leader dei Verdi Jà¼rgen Trittin: «Siamo alla Kanzlerinnendaemmerung», al Crepuscolo della cancelliera, non degli Dèi.
Il clima è questo, non basta guidare la quarta economia mondiale, né cavalcare una crescita in rallentamento ma ancora robusta, per conservare i galloni di leader forte. Nelle ambasciate dei paesi alleati, cogli più volte un umore nuovo di sfiducia. Sembra più difficile scrivere rapporti ai governi, perché per la prima volta nel dopoguerra democratico hanno a che fare con una Germania imprevedibile. L’ultima figuraccia è venuta l’altro ieri: con indecoroso preavviso last minute, la cancelliera ha dovuto cancellare il vertice con Medvedev e Putin a Mosca. Imperativi di politica interna mi tratterranno nella mia capitale, ha fatto spiegare, quasi dando un’immagine d’instabilità  politica mediterranea. Trema per il voto al Bundestag in settembre sul fondo europeo salva-stati. Almeno una trentina di parlamentari del suo partito, si mormora qui nei corridoi, sono contro, il governo rischia di andare sotto. Cosa normale da noi o anche in altre democrazie, ma nella Berlino abituata alla stabilità  prevedibile è uno shock.
A casa, insomma, la “donna più potente del mondo” appare sempre più sola. Gli imprenditori, col loro leader Dieter Hundt, gridano a gran voce la loro delusione, «questo non è il governo delle riforme in cui speravamo». Gli elettori, 55 su cento, non sperano più nella capacità  di Angie di salvare Germania ed Europa dalla crisi. La gente compra e spende meno di prima, i mercati hanno visto inaudite turbolenze da lungo venerdì nero con epicentro alla Borsa di Francoforte, non a Milano o a Wall Street. I veterani dell’èra Kohl, come Karl Lamers, ideologo dell’europeismo, si sfogano: «Chi non capisce e non sa spiegare che gli interessi nazionali tedeschi sono indivisibili da quelli dei nostri vicini è maligno, oppure stupido…e non si affronta la crisi esitando, tentennando, dicendo no e poi alla fine cedendo, e confondendo così gli elettori». Stroncature quasi senza appello, per la cancelliera. Forse la sua unica speranza è aussitzen, aspettare sperando che la bufera passi. Così Kohl governò sedici anni, «ma con grandi visioni», ricordano gli ex del suo staff. Nella Berlino di fine estate invece si ride amari persino sulle casuali ma quasi simboliche pannes continue del nuovissimo Air Force One tedesco. Hanno dovuto rimettere in servizio il vecchio jet dell’ex dittatore Honecker. Un rimedio venuto dall’est come lei.


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