Miniripresa a Pomigliano tra i timori di una dismissione

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 NAPOLI.Lo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco ha riaperto ieri i battenti ma solo per 15 giorni. Un migliaio di operai in un unico turno (6/14) per produrre gli ultimi esemplari di Alfa 159. Dal 19 al 30 settembre potrebbero rientrare gli addetti al secondo turno, poi forse dal 10 ottobre una nuova ripresa di quattro giorni per realizzare l’ultimo stock di berline. Il 28 ottobre dovrebbe segnare il definitivo addio della fabbrica partenopea al marchio Alfa, a quarant’anni dall’avvio della produzione, perché nel futuro per adesso c’è solo la Panda. «Questa miniripresa dell’attività  non porterà  molto in busta paga – spiega Franco Percuoco, Rsu Fiom – perché difficilmente si arriverà  a raggiungere il 50% dei giorni lavorativi in un mese che servono per maturare i ratei». I metalmeccanici Cgil continuano a vedere un futuro incerto per la fabbrica campana, nonostante le rassicurazioni di Marchionne sull’investimento a Pomigliano. Dopo la sentenza che ha condannato il Lingotto per comportamento antisindacale, non sono stati calendarizzati incontri ufficiali, che avrebbero visto al tavolo anche la Fiom, così per ora non ci sono certezze sul futuro del Vico. Voci di corridoio indicano per il 13 settembre la presentazione della nuova Panda, con l’avvio della produzione dei primi esemplari per le concessionarie e il lancio della campagna pubblicitaria, poi la parola passerà  al mercato, la tiratura dipenderà  dalle richieste.

«Fino a luglio – racconta Franco Percuoco – sono stati assunti nella newco 150 persone. Per mantenere i circa 4.300 lavoratori le vendite dovrebbero assorbire in Europa 280mila vetture, secondo le stime Fiat. Intanto, però, c’è stata una contrazione del 7% della domanda, così l’obiettivo adesso non sembra a portata di mano. Se a questo aggiungiamo che in Polonia, con la stessa manodopera, di vetture ne fanno 600mila si capisce perché non siamo tranquilli». A Pomigliano, fino all’avvento di Marchionne, si producevano Alfa 147 e 159, due linee di auto di segmento D e E per cui erano necessari due operai specializzati a vettura, in grado di effettuare il controllo qualità  già  durante la produzione. Ogni auto sfornata veniva poi controllata in pista. Da ottobre si scenderà  a una sola linea di segmento A (che il mercato tende a dislocare nei paesi con lavoratori a basso costo), che richiede un addetto e poco più, senza particolari controlli di qualità  visto lo scarso valore aggiunto. Se e quando le richieste saranno alte, si potrà  lavorare su tre turni di produzione ma difficilmente si arriverà  ad assorbire tutta la manodopera del Vico: «Infatti le altre organizzazioni sindacali – prosegue – per tenere calmi gli operai stanno diffondendo la voce che arriverà  anche un’altra missione produttiva, ma di questo nei documenti non c’è traccia».
Del resto che in prospettiva, dopo la fuga dalla Sicilia, ci sia la fuga della Fiat dalla Campania (magari dopo la cura dimagrante ai contratti in corso) lo attesta la volontà  dell’azienda di chiudere lo stabilimento irpino, l’unico in Italia a produrre autobus. Poi ci sono altri segmenti già  seriamente a rischio. Innanzitutto il polo logistico di Nola, 300 lavoratori tra i più sindacalizzati messi a parcheggio lontano dal Vico per tentare di limitare il dissenso. Per loro la cassa integrazione è stata richiesta con motivazioni diverse rispetto ai colleghi di Pomigliano, facendo intravedere un futuro separato. Poi ci sono i lavoratori dell’indotto a tremare, perché la maggior parte della componentistica della Panda arriverà  direttamente dalla Polonia. Così, ad esempio, i mille lavoratori della Magneti Marelli plastiche di Napoli verranno per metà  assorbiti nella newco, gli altri resteranno nella struttura di via De Roberto senza missione produttiva. Prevista la chiusura per gli altri due impianti di Caivano e Marcianise.


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