Polo Nord, terra di nessuno il grande risiko dei ghiacci

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MA DI chi è il Polo Nord? O meglio, a chi appartiene quel luogo che i geografi collocano in un tratto dell’Oceano artico che comincia approssimativamente 400 miglia a settentrione di ogni terra emersa? Ebbene, il Polo non fa parte di nessuna nazione: è perciò di tutti, dell’intera umanità , come scriveva ieri sull’International Herald Tribune Michael Byers.
Ora, nota il professore di Diritto internazionale all’Università  della British Columbia di Vancouver, proprio perché questi ghiacci sono senza proprietario, e si trovano quindi sotto la tutela di tutti i Paesi del pianeta, il loro destino è oggi più che mai a rischio.
Le minacce che guatano la calotta polare sono le solite: l’inquinamento, una pesca eccessiva e scriteriata, il surriscaldamento. Poiché da qualche anno i ghiacci hanno cominciato a sciogliersi, queste minacce appaiono sempre più temibili e spaventose.
Il principale problema che riguarda quella porzione di mondo è il vuoto giuridico che l’affligge. Un vuoto allarmante, se si pensa, per esempio, che il 20 per cento del prodotto nazionale lordo della Russia proviene proprio dall’Artico sotto forma di gas e petrolio. L’inarrestabile scioglimento del pack apre nuove rotte per le superpetroliere russe e presto consentirà  lo sfruttamento di enormi giacimenti nascosti sotto il manto ghiacciato.
E non è solo la Russia il Paese interessato al Polo: in quelle terre inospitali, tutti i potenti del pianeta hanno appena dato inizio al “Great game” petrolifero del decennio, dal momento che un quarto delle risorse di idrocarburi del pianeta si trova nelle regioni artiche. Risorse irraggiungibili fino a pochi anni fa, ma che oggi grazie alle conseguenze del clima e alle moderne tecnologie sono alla portata di molti.
Come se non bastasse, delle otto nazioni che circondano il Polo Nord, sette sono abitate da popoli indigeni, che sono i sami, gli inuit, i nenet russi, gli aleutini e via elencando. Ma, come sottolinea Magne Ove Varsi, direttore di un centro studi del nord della Norvegia, «tutte le decisioni che riguardano quelle terre vengono prese a Mosca, Oslo o Washington, ignorando le volontà  di chi le abita da secoli e dei primi che pagheranno le conseguenze di un futuro disastro ambientale».
La sola giurisdizione che governa questi ghiacci di tutti e di nessuno è quella marinara, riconosciuta da molti per quanto riguarda le formalità  doganali e di confine. Elaborato durante i secoli, questo trattato è stato codificato nel 1982 nella cosiddetta Convenzione dell’Onu sul Diritto del mare, e ratificato da molti Paesi, sebbene non dagli Stati Uniti. Per le otto nazioni artiche, la Convenzione dovrebbe avere piena attuazione, perché, sostengono, costituisce una esauriente rete di tutela e disciplina.
Ma può questo testo riempire il vuoto giuridico che funesta il Polo Nord? Secondo il giurista e ricercatore del Cnr Gianfranco Tamburelli, il quale ha partecipato a diverse riunioni del Consiglio artico in cui l’Italia svolge un ruolo di osservatore, il problema è un altro. Spiega Tamburelli: «C’è la volontà  da parte di quegli Stati di mantenere un’esclusività  sull’Artico e sui cambiamenti in atto, siano essi sull’apertura di nuove rotte di navigazione, sulla possibilità  di pescare in luoghi finora impensabili o anche sullo sfruttamento turistico. La loro è una posizione fortemente strumentale perché quell’area dovrebbe appartenere a tutti».
Oltre al Diritto del mare, sono stati ratificati soltanto pochi accordi internazionali, spesso in sede bilaterale, e perciò di portata limitata. Dice ancora Tamburelli: «Qualche anno fa, i russi hanno messo una bandierina al Polo Nord, asserendo in maniera pretestuosa che l’estensione della loro sovranità  era giustificata dall’estensione della loro piattaforma continentale». È verosimile che bisognerà  aspettare a lungo prima di dimostrare che piantare una bandierina al Polo è un po’ come piantarla sulla Luna.


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