Prove di raffreddamento

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PECHINO. La terza volta di Joe Biden a Pechino è quella più difficile. Il vice presidente degli Stati Uniti ci era già  stato nel 1979, quando l’allora giovane senatore democratico aveva potuto osservare da vicino le riforme di Deng Xiaoping, e nel 2001, l’anno di un duro braccio di ferro su Taiwan con l’amministrazione Bush. Ma la visita ufficiale cominciata ieri con l’incontro con il suo omologo cinese Xi Jinping arriva all’indomani della perdita della tripla A per i bond a stelle e strisce decretata da Standard & Poor’s e deve riuscire a rinsaldare i rapporti tra due governi in un momento in cui quello cinese ha qualche ragione per non fidarsi della controparte.
Con Hillary Clinton che molto probabilmente non cercherà  un secondo mandato da Segretario di Stato, in caso di rielezione di Obama potrebbe essere proprio Biden, eletto al Senato per la prima volta nel 1972, a gestire i rapporti con la Cina che si avvia, l’anno prossimo, a incoronare Xi come capo del Partito comunista (Pcc) e poi, nel 2013, presidente della Repubblica.
Al centro di un viaggio insolitamente lungo (Biden è arrivato l’altro ieri sera e ripartirà  lunedì prossimo) ci saranno i temi legati alla crisi dell’economia americana. Il dipartimento del tesoro Usa aveva pianificato di emettere, tra marzo scorso e giugno 2012, buoni del tesoro per un valore di 10 miliardi di dollari ogni mese. Dopo lo storico declassamento del rating del loro debito, gli Stati Uniti devono discutere con la Cina, che con 1,16 trilioni di dollari in treasury bond è il loro principale creditore. La stampa ufficiale nei giorni scorsi aveva accolto con rabbia la decisione del Congresso di alzare il tetto del debito Usa. I leader di Pechino erano rimasti in silenzio. Ora tocca a loro, a porte chiuse, parlarne con Biden. Il rafforzamento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti «si adatta non solo agli interessi dei due paesi, ma anche a quelli del mondo intero» ha dichiarato il vicepresidente cinese. «Viste le nuove circostanze – ha affermato Xi – Cina e Stati Uniti condividono ancora di più ampi interessi e responsabilità  comuni». E Biden: «Sono sicuro che la stabilità  economica del mondo dipenda in buona parte dalla cooperazione tra Stati Uniti e Cina». Nel momento in cui si parla con sempre maggiore insistenza di una nuova recessione, il paese più indebitato del mondo e quello che vi ha investito il 70% delle proprie riserve estere navigano entrambi in acque agitate.
Come a voler raffreddare il sentimento anti-cinese di alcuni settori del Congresso Usa, a Washington è stato appena pubblicato un rapporto della consiglio d’affari Usa-Cina che evidenzia l’aumento delle esportazioni statunitensi nel paese che (dopo Canada e Messico) è il terzo mercato per l’export degli States. «Nel 2010, le esportazioni verso la Cina sono aumentate del 32%, più rapidamente di quanto siano cresciute quelle verso qualunque delle cinque principali destinazioni dei prodotti americani» sottolinea il documento. Da quando nel 2001 la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto), l’export Usa verso la Cina è cresciuto del 468% ma resta il fatto che l’anno scorso gli Usa hanno importato dalla Repubblica popolare prodotti per 364 miliardi di dollari e hanno accumulato un deficit commerciale record pari a 273 miliardi. E, in percentuale, gli Usa perdono quota, essendo le importazioni della Cina dagli Usa passate dal 10% del totale nel 2001, al 7% attuale.
Nei giorni scorsi ha assunto l’incarico il nuovo ambasciatore statunitense a Pechino: si tratta di Gary Locke, primo sino-americano a ricoprire questo ruolo, nonché ex ministro del commercio di Obama. La tutela e la promozione delle aziende statunitensi nel mercato cinese saranno tra le sue priorità .
C’è poi la questione di Taiwan, o meglio delle armi che ogni anno gli Stati Uniti vendono all’isola dove nel 1949 si rifugiarono i nazionalisti del Kuomintang sconfitti nella guerra civile e che per la Repubblica popolare è parte integrante del suo territorio. Il prossimo 1 ottobre – in coincidenza con l’anniversario della fondazione della Repubblica popolare – Washington annuncerà  davvero la vendita a Taipei di caccia F-16 rischiando di far infuriare Pechino? Intanto – secondo l’agenzia ufficiale Xinhua – ieri Biden avrebbe riconosciuto che Tibet e Taiwan sono argomenti di interesse totale ed esclusivo della Cina. «Gli Stati Uniti appoggiano fermamente la politica di una sola Cina e non sosterranno l’indipendenza di Taiwan – avrebbe detto il vice di Obama – e riconoscono totalmente che il Tibet è una inalienabile parte della Cina». Jacques Delors «L’Europa e l’euro sono sull’orlo di un precipizio». Lo ha detto l’ex presidente della Commissione europea, Jacques Delors, in un’intervista al quotidiano elvetico Le Temps, sottolineando che per gli stati membri è fondamentale avere una cooperazione economica più stretta. Delors considera un eventuale ministero europeo delle finanze «un dispositivo folle», e ha spiegato che una semplice collaborazione tra i Paesi negli affari economici non porterà  a nulla se non si ha la volontà  di cedere un pò di sovranità  nazionale. PAUL KRUGMAN L’Italia e la Spagna possono superare la crisi dei debiti sovrani se non si faranno prendere dal panico, secondo il Nobel all’economia. «Ci sono Paesi che probabilmente riusciranno a sopravvivere se il panico non avrà  il sopravvento e quei paesi sono l’Italia e la Spagna». «Ce ne sono altri che sono fondamentalmente insolventi e avranno bisogno di una ristrutturazione del debito e questi Paesi sono Grecia, Irlanda e Portogallo», ha aggiunto il Premio Nobel, sottolineando poi che «sono molto basse le probabilità  di una uscita dall’euro dell’Italia».


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