Qaedisti, beduini, cellule palestinesi La nuova Tortuga nel Sinai egiziano

by Sergio Segio | 19 Agosto 2011 6:25

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Il Sinai è un covo per gruppi armati. Una sponda logistica per i militanti palestinesi di Gaza. Senza la retrovia del Sinai potrebbero fare ben poco. Già  colpita, in passato, dal terrorismo anti turisti, la penisola egiziana è sotto la minaccia di un tridente. La prima punta è quella dei salafiti, gli integralisti egiziani che — non da oggi — hanno trovato un buon santuario. Alcuni predicano il ritorno alla tradizione, altri si ispirano ad Al Qaeda e sognano la nascita di un emirato. Ne fanno parte locali e stranieri. Una presenza che si è gonfiata grazie all’evasione di dozzine di mujahedin. Jihadisti scappati dalle prigioni egiziane durante la rivolta contro Mubarak. Un esodo che ha provocato allarme a Washington. Gli Usa, infatti, hanno trasmesso al Cairo una lista con quasi 30 nomi di terroristi. Tra loro leader storici — Ahmed Taha — e operativi, come Alì Abu Faris, coinvolto in una strage in un hotel, e l’ex dottore di Bin Laden, Ramzi Mahmoud Al Munafi. Una parte di questi jihadisti avrebbe creato il movimento «Al Shabab Al Islam». Frange ancora più dure parlano in nome di «Al Qaeda nella penisola del Sinai»: difficile dire se sia solo una trovata propagandistica o se la firma rappresenti qualcosa di concreto. Per ora la vecchia guardia non l’ha benedetta ufficialmente. Ayman Al Zawahiri si è limitato a incoraggiare i militanti che hanno colpito per 5 volte il gasdotto Egitto-Israele. Un segnale, insieme agli attacchi contro stazioni di polizia, di come sia intensa la minaccia. La nebulosa collabora, poi, con le formazioni palestinesi di Gaza, come i Comitati di resistenza popolare. C’è uno scambio di informazioni e di uomini. Questo permette a una cellula di uscire dalla Striscia, entrare nel Sinai e quindi colpire in Israele. La penisola diventa rifugio e base di partenza per incursioni oltre confine. È la seconda punta del tridente. Nella penisola risiedono dei «rappresentanti» che, oltre a favorire gli spostamenti, si preoccupano delle forniture. Ma anche loro possono fare poco da soli. Ed ecco la terza punta: i clan beduini, i signori del Sinai e protagonisti di mille traffici. Perseguitati e discriminati dal Cairo, sono in lotta perenne con le autorità  centrali. Alcune tribù dominano una zona impervia, conosciuta come la montagna, che è diventata il rifugio naturale per quasi 2 mila miliziani. I beduini sono coinvolti nel contrabbando, lo proteggono con i kalashnikov e sono riusciti a resistere alle ripetute spedizioni dell’esercito egiziano. L’ultima — l’Operazione Aquila — è stata lanciata in questi giorni ma non ha disturbato né i ribelli né i terroristi. Tanto è vero che è arrivata la strage di Eilat. Una dimensione locale che si intreccia con quella regionale. I pasdaran iraniani — come ha rivelato in aprile il Corriere — hanno aumentato la loro presenza in Egitto per favorire il flusso di equipaggiamenti in favore di Hamas e avere una carta in più da giocare al confine di Israele.

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