“Niente esecuzioni sommarie processeremo Gheddafi Validi tutti i patti con l’Italia”

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BENGASI – «Io, nuovo presidente della Libia? Ma vuole scherzare!», si schermisce Mustafa Abdel Jalil, leader del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), ossia del governo-ombra di Bengasi che in questi mesi ha amministrato le regioni liberate del Paese. Eppure, tutti vedono in Jalil, 59 anni mal portati, il candidato ideale per guidare la Libia nel dopo regime, vuoi perché già  parla da statista, vuoi perché in questi mesi è riuscito a farsi riconoscere come interlocutore legittimo da oltre 30 nazioni. «Se fossi nominato presidente – aggiunge – sarebbe comunque un incarico ad interim, e lo rimarrei soltanto fino alle prossime elezioni, che saranno anche le prime elezioni libere del nostro Paese».
Presidente Jalil, è quasi fatta, la vittoria è a portata di mano. Ma non teme un colpo di coda del Colonnello?
«L’epoca di Gheddafi è finita, anche se tutto si concluderà  soltanto con la sua cattura e con la sua condanna per i crimini che ha compiuto. Detto ciò, Tripoli è all’80% sotto il nostro controllo. Restano però ancora sacche di resistenza in città , e una grande concentrazione di truppe nella regione di Sirte, storica roccaforte del raìs».
La Corte penale internazionale dell’Aja attende Saif Al Islam e lo stesso Colonnello all’Aja. Se doveste catturarli, li consegnerete a quei giudici?
«Nelle scorse settimane abbiamo discusso di questa eventualità  e l’orientamento prevalente tra i membri del Consiglio nazionale di transizione è stato quello di giudicare il raìs e la sua banda in patria. Con un processo “giusto”, s’intende, ma da svolgersi in Libia. Perciò voglio che li prendano vivi e che siano trattati diversamente da come il Colonnello trattava gli avversari. Lui sarà  ricordato solo per i crimini, gli arresti e gli assassinii politici che ha compiuto».
Lei ha fatto parte del governo di Gheddafi per oltre trent’anni. Lo scorso febbraio, quando esplose la rivolta, era ancora ministro della Giustizia. Che cosa l’ha spinta a cambiare casacca e a fuggire verso la Cirenaica?
«Mi sono dimesso per la ferocia con cui il Colonnello volle reprimere i moti a Tripoli. Quando ordinò ai soldati di sparare sulla folla disarmata decisi che non avrei ricoperto quell’incarico per un solo giorno ancora. Giunsi dunque a Bengasi e mi misi a disposizione degli insorti».
Due giorni fa, aveva lei stesso annunciato che i figli del Colonnello, Saif Al Islam e Mohammad, era stati arrestati domenica a Tripoli e che si trovavano in mani sicure e sotto il controllo dei vostri uomini. Come mai Saif è rispuntato fuori dal nulla, libero e minaccioso come sempre?
«Avremmo potuto imprigionarli, ma volevamo che fossero trattati bene. I due fratelli erano stati semplicemente messi agli arresti domiciliari».
Dopo 42 anni di un regime così spietato non teme che si saranno vendette, e che per mesi verrà  sparso altro sangue in Libia?
«Certo, ho paura che qualcuno possa applicare la legge del taglione, magari chi ha perso un figlio o un fratello nelle galere di Gheddafi. Perciò ho chiesto espressamente ai nostri uomini che in queste ore combattono a Tripoli di risparmiare cose e persone, e soprattutto di non infierire sugli ex nemici. Gli ho detto di non farsi giustizia da soli, e ho anche minacciato le dimissioni se qualcuno non dovesse rispettare queste regole. La “nuova Libia” dovrà  essere un Paese diverso dal passato, e fondato sui principi di libertà , uguaglianza, fraternità ».
E con le altre nazioni come vi comporterete?
«Voglio confermare che la nuova Libia avrà  forti relazioni con gli altri Paesi, basate sul mutuo rispetto e la cooperazione. Saremo un membro effettivo della comunità  internazionale e rispetteremo tutti i trattati presi in precedenza. Assicureremo inoltre che in Libia vengano rispettati i diritti umani e lo Stato di diritto, e che il Paese contribuisca a stabilire la pace e la sicurezza internazionali».
Come vi comporterete con l’Italia?
«La Libia del dopo-Gheddafi avrà  relazioni speciali con i Paesi che hanno sostenuto la nostra lotta di liberazione dal suo inizio. Tra questi, ovviamente, figura anche l’Italia».
A sentirla parlare della nuova Libia, si direbbe che il Paese diventerà  una sorta di paradiso?
«Tra otto mesi si terranno le elezioni legislative, parlamentari e presidenziali. Vogliamo un governo democratico e una Costituzione giusta. Soprattutto, non vogliamo più essere isolati dal mondo come lo siamo stati fino ad ora».
Dopo aver rassegnato le sue dimissioni da ministro della Giustizia, ed esser diventato presidente dell’organo degli insorti, il regime di Tripoli ha messo sulla sua testa una taglia di 300mila euro. Lei ha comunque continuato a lavorare e a viaggiare per il mondo per ottenere la legittimità  del Consiglio nazionale di transizione. Sono anche questi i meriti che le riconosce il suo popolo?
«Non lo so. So soltanto di essermi limitato a fare il mio dovere».


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