“Prezzi delle azioni gonfiati per ridare a Di Caterina oltre due milioni di euro”

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MILANO – La vendita a prezzi fuori mercato del 15% della Serravalle alla provincia di Milano guidata allora da Filippo Penati sarebbe servita all’esponente del Pd a restituire a Piero Di Caterina le presunte tangenti che l’imprenditore aveva «anticipato» negli anni al politico. Circa «2-2,5 milioni di euro».
È Di Caterina a parlarne in un interrogatorio del 21 giugno 2010 ai pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia che indagano sul “Sistema Sesto” e sull’operazione che Penati portò a termine con l’appoggio di Banca Intesa. «Mi sono incontrato con Penati un giorno, credo quello precedente alla notizia dell’acquisto della quota di Serravalle da parte della Provincia di Milano e Penati mi ha parlato di questa operazione dicendomi che gli avrebbe consentito la restituzione dei soldi che mi doveva». Di Caterina dice di sapere che «sugli affari più importanti ai quali partecipavano gli enti che Penati ha diretto, lui e Vimercati (suo capo di gabinetto, n. d. r.) avrebbero chiesto e ottenuto delle tangenti. Mi fu detto proprio da Penati, per convincermi ad aspettare, che di là  a poco sarebbero arrivate delle somme consistenti. Mi riferisco all’affare Serravalle». L’operazione, avvenuta nel 2005, andò a buon fine tra polemiche e un esposto dell’allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini, anche lui socio della Serravalle. Fu contestato il prezzo di vendita delle azioni: Gavio aveva acquistato le azioni a 2,9 per rivenderle a 8,9 euro, con una plusvalenza di 179 milioni. «All’epoca della trattativa i rapporti tra me e Penati e Vimercati erano tesi e così loro non parlavano in mia presenza – ricorda Di Caterina davanti ai pm il 21 giugno 2010 – Io però avevo sempre buoni rapporti e intense frequentazioni con Antonio Princiotta, all’epoca segretario generale in Provincia, che mi riferì che si stavano svolgendo trattative riservate presso lo studio di un commercialista milanese, tale Guerrieri o Guerci», per definire il sovrapprezzo da pagare al gruppo Gavio. «Princiotta – continua Di Caterina – che partecipava alle trattative, mi disse che in quegli incontri stavano trattando l’importo che sarebbe stato retrocesso a Penati e Vimercati». Princiotta si sarebbe lamentato di non aver ricevuto neanche un quattrino dai due, che a operazione conclusa avrebbero anche litigato. «Ho saputo – dice Di Caterina – da Vimercati che Penati sulla Serravalle lo avrebbe fregato e che avrebbe ricevuto il suo guadagno dall’operazione a Montecarlo, Dubai, e Sudafrica». I soldi li avrebbe gestiti Banca Intesa. «Princiotta – sostiene Di Caterina – mi ha detto che agli incontri partecipavano lui, Vimercati, Binasco e un rappresentante di Banca Intesa, tale Pagani, e che si è anche parlato di un “sovrapprezzo” da pagare a favore di Penati e Vimercati, una percentuale del sovrapprezzo che la Provincia avrebbe pagato per ogni azione. Princiotta mi disse che nella riunione si è discusso sia dei profili palesi che di quelli riservati».
Ora Maurizio Pagani, responsabile del settore infrastrutture e finanza di Biis, società  del gruppo Intesa è indagato per concorso in corruzione e gli uomini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza gli hanno perquisito casa e ufficio. Il ruolo di Intesa è tutto da chiarire perché compare come finanziatore anche nella riqualificazione delle aree Falck e Marelli. I pm vogliono sapere se Intesa ha «un interesse proprio da perseguire oltre alla normale attività  di erogazione del credito». La risposta per i pm la offrirebbe lo stesso Pasini in un interrogatorio: «Contestualmente alla decisione della banca di costruire la nuova sede a Sesto, Baraggia (di Banca Intesa n. d. r.) mi chiese di rilevare l’area Falck, facendomi presente che sarebbe stato un ottimo affare sia per me, sia per loro che volevano impedire lo sbarco della Banca di Roma a Milano per ragioni di prestigio». Ambiguo il ruolo della banca anche «nella costituzione della provvista per “la stecca” in Lussemburgo», ovvero i 4 miliardi che Di Caterina riceve da Pasini per conto di Penati. Per i pm, «la celerità  nell’accredito e la successiva movimentazione inducono a ritenere che la Banca fosse assolutamente consapevole e complice nell’illecito».
Sul fronte dell’inchiesta, il sindaco di Sesto Giorgio Oldrini ha precisato di non aver mai concesso il raddoppio delle volumetrie al gruppo Zunino, mentre i pm si sono opposti alla scarcerazione dell’assessore Pasqualino di Leva e dell’architetto Marco Magni.


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