Quei consiglieri a fianco dei ribelli

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E mentre loro scarpinavano nel deserto altri « stranieri » aiutavano il Comitato di Bengasi. Diplomatici con un passato in luoghi difficili. Come i territori palestinesi o l’Iraq.
Agenti veterani di altri conflitti, in grado di far fuggire gerarchi in rotta con la Guida. Come Jalloud gestito dai servizi italiani. Senza questi « consiglieri » i ribelli non sarebbero mai arrivati a Tripoli. Il loro ruolo è stato prima confermato da molti governi occidentali. Per riconoscere il sacrificio e rivendicare ilmerito. Poi, le smentite. Perché ufficialmente la coalizione non aveva truppe sul terreno. I « consiglieri » sono destinati ad essere dei fantasmi. Una ritrosia che non è legata solo a ragioni tattichema anche alla storia. Per decenni la loro immagine ha evocato missioni contestate o fallimenti. A cominciare dall’invio deimilitari americani
Nella storia
Gli « uomini ombra » sono stati usati in missioni controverse Gli Usa li inviarono in Salvador, i francesi in Africa in Indocina, nel settembre del 1950.
Una minuscola avanguardia seguita da migliaia di giovani soldati e da una storia che ancora fa soffrire gli Stati Uniti. E sono sempre gli americani a dare una mano all’esercito del Salvador contro la guerriglia ( 1981) e a inviare degli specialisti in Bosnia, nel 1994. I francesi hanno fatto la stessa cosa nelle ex colonie in Africa: con loro militari oppure affidandosi ai mercenari bianchi. Lo scenario si è ripetuto in Libia. Non volendo e non potendo rischiare una spedizione terrestre, gli alleati hanno dovuto affidarsi a questi uomini ombra. E hanno trovato subito la copertura: l’invio di istruttori per addestrare lo scombinato esercito rivoluzionario. Poche decine, mobilitati dai Paesi Nato— Italia inclusa— per riorganizzare le file dei rivoltosi. Ma dietro questa attività  annunciata si è celato qualcosa di più. Le prime notizie risalgono all’inizio del conflitto. Gli algerini rivelano dell’affannosa ricerca di un « commando francese perduto nel deserto » .
Poi sono i russi a fare la spia segnalando incursioni mirate. Alcuni Sas britannici vengono persino arrestati dai ribelli che non erano stati avvertiti. Mancanza di coordinamento. Con il passare delle settimane la situazione è mutata. Oltre a colpire obiettivi di « alto valore » , nuclei di consiglieri sono stati affiancati agli insorti. Armati di radio criptate, telefoni satellitari e potenti binocoli hanno registrato le coordinate poi passate all’aviazione. Sempre in prima linea, hanno avuto un ruolo chiave nell’avanzata.
 Grazie alle intercettazioni condotte dagli apparati Usa, gli oppositori hanno scoperto che la catena di comando gheddafiana stava capitolando.
Sempre l’intelligence Usa ha fornito informazioni precise sulle posizioni delle truppe governative permettendo di evitare trappole e aggirare ostacoli. E, secondo la stampa statunitense, il Pentagono nelle ultime sei settimane ha condiviso con gli alleati dati che fino allora aveva tenuto per se. A fare da collettori — e non solo— i « consiglieri » del Qatar. L’Emirato si è assunto impegni gravosi e interessanti. Interi contingenti di ribelli sono stati portati nel Golfo, addestrati e trasferiti di nuovo in zona d’operazioni. Ufficiali sono diventati gli angeli custodi — militari e politici — degli insorti. A livello tattico e strategico. Nel settore della montagna erano loro « a tenere per mano » i comandanti ribelli, a Bengasi hanno fatto da suggeritori all’inesperto Comitato. Sempre loro hanno favorito la realizzazione di un rudimentale quanto efficace aeroporto nella zona berbera.
Una base indispensabile per sostenere l’offensiva. Doha, capitale del piccolo Stato, ha accolto molti gerarchi che hanno abbandonato Gheddafi. Ospiti che sono diventati protagonisti di iniziative dietro le quinte. Centro politico e anche di propaganda grazie alle antenne di Al Jazeera. L’emittente dell’Emirato era lì anche ieri davanti alla caserma bunker del Colonnello. Fonti mediorientali sostengono che a guidare l’assalto, insieme agli oppositori, fossero i commandos venuti dal Qatar.


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